Sudan: le forze democratiche Tagadum si compattano - Nigrizia
Conflitti e Terrorismo Sudan
Conclusa ad Addis Abeba la conferenza fondativa del Consiglio di coordinamento delle forze civili democratiche
Sudan: le forze democratiche Tagadum si compattano
Colmando un pericoloso vuoto politico innescato da oltre 13 mesi di guerra, il coordinamento si pone ufficialmente come interlocutore espresso democraticamente dalle forze contrarie alla guerra e incaricato di rappresentarle in eventuali trattative di pace
04 Giugno 2024
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 6 minuti
L'ex primo ministro Hamdok interviene alla sessione conclusiva della conferenza delle forze democratiche civili ad Addis Abeba (Credit: Radio Dabanga)

Si è conclusa nei giorni scorsi ad Addis Abeba la conferenza di fondazione del Consiglio di coordinamento delle forze civili democratiche sudanesi, conosciuto come Tagadum, svoltasi dal 27 al 30 maggio.

Presidente della rete è stato rieletto Abdalla Hamdok, ex primo ministro del governo civile di transizione, rovesciato dal colpo di stato militare del 25 ottobre 2021, orchestrato dall’esercito (SAF) e dalle Forze di supporto rapido (RSF). Le stesse che ora si combattono sulla pelle dei sudanesi e a spese del paese intero, ormai vicino al collasso.

Hamdok era già presidente della coalizione, nata alcuni mesi fa. Con la conferenza di Addis Abeba il coordinamento è stato formalizzato come interlocutore espresso democraticamente dalle forze contrarie alla guerra e incaricato di rappresentarle in eventuali prossime trattative per la pace e per affrontare l’emergenza umanitaria attuale e la carestia imminente.

Nel suo discorso finale, Hamdok ha sottolineato che le forze civili non hanno nessuna responsabilità né per lo scoppio né per la continuazione della guerra. «Abbiamo messo in guardia (contro il conflitto, ndr), e diciamo con piena sicurezza che non siamo responsabili per nessun spargimento di sangue sudanese».

È l’assunzione pubblica, e politicamente motivata, del ruolo di unica forza che ha a cuore solo gli interessi del paese e dei suoi cittadini. La precisazione si imponeva, a fronte delle accuse delle SAF, che sostengono che le forze del coordinamento parteggiano per le RSF, le quali, da parte loro, sembra abbiano tentato di disturbare la conferenza.

All’assemblea hanno partecipato circa 600 delegati in rappresentanza di forze politiche, organizzazioni della società civile, gruppi di base come i comitati di resistenza – molti trasformatisi in comitati di emergenza, i soli che hanno potuto offrire servizi alla popolazione gravemente colpita dal conflitto in questi mesi di isolamento – ed esponenti della diaspora sudanese.

Chi veniva dall’interno del paese ha incontrato grosse difficoltà durante il viaggio, compresa, per molti, l’impossibilità di partire in aereo da Port Sudan per impedimenti dovuti alle autorità locali, espressione delle SAF che controllano l’est e il nord del paese, e pretendono di essere considerati come governo legittimo.

Presenti come osservatori anche importanti attori esterni alla coalizione, come il Partito Popolare del Congresso, ispirato all’islam politico, lontano dal passato regime, pure islamista, che tutti gli analisti ormai riconoscono come fomentatore del colpo di stato e del conseguente attuale conflitto.

Lo afferma, ad esempio, Gill Lusk, profonda conoscitrice delle dinamiche del paese di cui ha scritto regolarmente per molti anni su Africa Confidential, quindicinale pubblicato dal 1960, che ha le sue fonti in ambienti politici, diplomatici ed economici esclusivi, in un articolo pubblicato per il centro studi sudanese Sudan Transparency and Policy Tracker.

Hanno seguito la conferenza come osservatori anche delegati di un movimento di liberazione che non ha firmato la pace di Juba (ora i firmatari sono allineati alle SAF e partecipano al conflitto): l’SPLM-Nord, ala di Abdel Aziz al Hilu, che controlla i Monti Nuba, nel Sud Kordofan e parte del territorio dello stato del Nilo Blu. L’SPLM-N e l’altro movimento armato non firmatario della pace di Juba, lo SLA (Sudan Liberation Army), ala di Abdel Waid al Nur, che controlla l’area del Jebel Marra in Darfur, hanno raggiunto un accordo preliminare con Hamdok a Nairobi.

La conferenza ha dibattuto un testo messo a punto in precedenza dai leader dei diversi gruppi partecipanti.

Il documento finale

Il documento conclusivo è stato letto da una donna, Bothaina Dinar, vicepresidente del Revolutionary Democratic Current (RDC, partito nato dalla scissione dell’SPLM-N ala Malik Agar, lasciato da chi condannava il golpe del 25 ottobre 2021, da cui altri non intendevano dissociarsi; ora Malik Agar è il vicepresidente del Consiglio Sovrano, di cui è presidente il generale al-Burhan, comandante delle SAF), quasi a significare il ruolo avuto dalle donne nel movimento popolare che ha rovesciato il passato regime e quello che avranno nel Sudan voluto dalle forze democratiche.

Nel documento è chiara la condanna delle SAF, delle RSF e i loro alleati per le violazioni dei diritti umani della popolazione, per aver impedito l’arrivo degli aiuti umanitari, per non essere stati capaci di negoziare la fine di un conflitto tanto devastante e vi è ribadita la necessità di un immediato cessate il fuoco.

È chiara anche la richiesta che la comunità internazionale faccia pressioni più convincenti per condurre le due parti belligeranti ad un tavolo negoziale e che trovi un meccanismo per garantire la protezione dei civili, la distribuzione degli aiuti e l’organizzazione di un’inchiesta sui crimini commessi durante il conflitto.

L’assemblea ha concordato una visione per il futuro del paese che prevede il completamento della rivoluzione di dicembre (dicembre 2018, l’inizio del movimento popolare che ha portato alla caduta del regime islamista di Omar El-Bashir) che si propone di fondare uno stato democratico che riconosca uguali diritti a tutti i suoi cittadini e rimanga neutrale rispetto alle loro scelte religiose e alla loro identità etnica e culturale.

Gli elementi chiave perché la visione del nuovo Sudan possa realizzarsi sono stati riconosciuti in un esercito unico di professionisti che non interferisca nelle questioni politiche e nell’economia del paese; in un sistema di sicurezza che abbia come obiettivo la protezione nazionale; in un modello di governance genuinamente federale.

Sono state anche approvate la struttura dell’organizzazione, le regole per la rappresentanza negli organi statutari, con quote riservate ai giovani e alle donne, e le modalità decisionali.

La conferenza sembra dunque aver raggiunto risultati significativi che pongono le premesse perché le forze democratiche possano avere una voce autorevole nella ricerca della soluzione della crisi sudanese in tutti i tavoli negoziali che saranno aperti d’ora in avanti.

Un pericoloso vuoto politico

Il consenso raggiunto ad Addis Abeba riempie inoltre un vuoto politico che la giunta militare di Port Sudan e le forze islamiste che la supportano ha già tentato di sfruttare con la formulazione, tutta di vertice, di una road map per la transizione post bellica, firmata al Cairo da 48 tra movimenti armati, forze politiche e organizzazioni della società civile allineate all’esercito.

Contro questo tentativo, Hadi Idris, tra i leader del coordinamento, ha annunciato una campagna di deligittimazione che comprende incontri diplomatici ad alto livello, in cui spiegare come la presenza del governo militare si frappone alla ricerca della pace a livello locale, regionale e internazionale.

Invece, “il coordinamento del Tagadum ha la legittimità della rivoluzione pacifica ed è qualificato a parlare a nome del popolo sudanese e a delegittimare il movimento islamico (che guida il governo, nrd) in Port Sudan al fine di prevenire la divisione del paese”.

È una considerazione che riassume anche il pensiero di Gill Lusk, nell’articolo citato: “Il vuoto politico è cresciuto e i leader islamisti civili e militari stanno facendo tutto il possibile per riempirlo. Invece questo spazio dovrebbe giustamente essere riempito, anzi inondato, dall’alternativa civile, il Coordinamento delle forze civili e democratiche conosciuto come Tagadum, e da pace e giustizia di cui sono i portabandiera. Dai giovani rivoluzionari ai politici stagionati, ora è la loro occasione”.

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