Il 18 aprile è il quarto giorno di conflitto in Sudan tra l’esercito regolare (Saf) e le Forze di intervento rapido (Rsf). In definitiva tra il presidente, generale Abdel Fattah al-Burhan comandante dell’esercito, e il vicepresidente Mohamed Hamdan Daglo, alias Hemetti, comandante delle Rsf, la sua milizia privata.
La situazione sembra essersi di molto aggravata rispetto ai giorni precedenti. Secondo l’inviato delle Nazioni Unite, Volker Perthes, il numero delle vittime sarebbe ormai di almeno 185 morti e 1.800 feriti. Nei combattimenti vengono usate armi pesanti anche nei centri urbani. Perfino la capitale è sorvolata da aerei da guerra, in dotazione solo all’esercito regolare, che bombardano i presidi militari delle Rsf che si trovano in città.
Molti quartieri di Khartoum sono ormai senza acqua e senza corrente. Uffici, scuole e distributori di benzina sono stati chiusi mentre i servizi sanitari sono impossibilitati ad operare nella maggior parte dei casi. L’associazione dei medici denuncia, infatti, che gran parte dei principali ospedali è fuori servizio perché danneggiata nei combattimenti o perché ha finito le scorte di farmaci. La popolazione è intrappolata nelle case.
In una conferenza stampa tenutasi ieri mattina, Perthes ha denunciato che una tregua di 3 ore, concordata nel pomeriggio del 16 aprile per ragioni umanitarie, in sostanza per permettere alla gente di uscire per rifornirsi dei beni essenziali, è stata rispettata solo molto parzialmente.
Una situazione drammatica, in una città dove, in questo periodo, la temperatura si aggira sui 40 gradi. Per di più durante il mese del Ramadan, paragonabile al nostro periodo natalizio, in cui normalmente, dopo il tramonto, sono più intense le iterazioni sociali.
Pesanti combattimenti in Darfur
Le operazioni militari sono state particolarmente pesanti in Darfur. Solo a Nyala, capitale del Sud Darfur, ci sarebbero stati almeno 22 morti e sarebbero stati distrutti diversi uffici governativi, tra cui le sedi di alcuni ministeri. La base regionale dell’Unicef è stata saccheggiata. Saccheggi anche in diversi mercati. La situazione è tale che molti quartieri sono stati evacuati dalla popolazione. I combattimenti sono particolarmente aspri attorno all’aeroporto, per il suo controllo.
A El Fasher, capitale del Nord Darfur, due missili sono caduti in una zona abitata causando almeno 11 morti e 90 feriti. Secondo testimoni oculari, le Saf controllerebbero la città, ma avrebbero chiesto agli abitanti di sfollare in modo da intensificare i combattimenti contro i presidi delle Rsf.
Scontri anche a El Genina, capitale del Darfur occidentale, e a Zalingei, nel Darfur Centrale. Mentre le Rsf controllerebbero ormai saldamente Kabkabiya, località non lontana da El Genina.
Attacchi a istituzioni occidentali
Fin dai primi giorni del conflitto, i combattenti di entrambe le parti hanno ampiamente superato i limiti posti dalle convenzioni internazionali in materia di protezione umanitaria e del personale diplomatico in più di una occasione.
Il Programma alimentare mondiale (Pam) ha dovuto interrompere le operazioni umanitarie, in un paese in grave crisi alimentare per una persistente siccità, dopo che tre suoi operatori erano stati uccisi e due feriti durante la battaglia per il controllo di Kabkabiya e dopo che un areo era stato danneggiato all’aeroporto di Khartoum.
Il 16 aprile tre diversi gruppi di uomini armati si sono introdotti nella nunziatura apostolica, l’ambasciata del Vaticano, durante la celebrazione della messa, suscitando timore e allarme tra i presenti. Se ne sono andati dopo un breve periodo senza provocare danni.
Ben più drammatica l’intrusione nella residenza dell’ambasciatore dell’Unione Europea, l’irlandese Aidan O’Hara, che è stato attaccato personalmente. Ma, per fortuna, «non è stato ferito seriamente» ha assicurato il vice primo ministro irlandese. Ma, ha aggiunto, l’azione «è una grave violazione dell’obbligo di proteggere i diplomatici, stabilito dalla Convenzione di Vienna». Grave preoccupazione è stata espressa anche da Josep Borrell, capo della diplomazia europea.
Questa mattina il Segretario di stato americano Antony Blinken, ha denunciato un episodio simile. Un convoglio diplomatico americano è stato attaccato dalle Rsf.
Segni di insofferenza per la presenza di occidentali nel paese erano apparsi evidenti anche prima della crisi, quando radicali islamisti avevano chiesto che venisse emessa una fatwa, cioè una condanna a morte per crimini contro la religione, contro il rappresentante dell’Onu Volker Perthes, per la sua mediazione in favore della rimessa in moto del processo di transizione democratica.
Nel paese la situazione è dunque davvero pesante. Probabilmente non migliorerà neppure per la tregua di 24 ore, per motivi umanitari (dalle 6 del pomeriggio), comunicata da Hemetti su Twitter nella tarda mattinata di oggi e accettata anche dalle Saf.
Following a conversation with U.S. Secretary of State @SecBlinken and outreach by other friendly nations similarly calling for a temporary ceasefire, The RSF reaffirms its approval of a 24 HR armistice to ensure the safe passage of civilians and the evacuation of the wounded. 1/4
— Mohamed Hamdan Daglo (@GeneralDagllo) April 18, 2023
Per ora non è andato a buon fine neppure il tentativo di mediazione dell’Igad – l’organizzazione regionale per lo sviluppo cui l’Unione Africana generalmente delega la ricerca di soluzioni alle crisi nel Corno d’Africa e nell’Africa orientale – che aveva deciso di inviare a Khartoum i presidenti di Kenya, Sud Sudan e Gibuti (William Ruto, Salva Kiir e Ismail Omar Guelleh, rispettivamente). La delegazione non è ancora riuscita ad arrivare a destinazione per la chiusura dell’aeroporto internazionale, danneggiato per i combattimenti per il suo controllo.