Il 10 ottobre, con un comunicato congiunto, Sudan e Iran hanno annunciato di aver ripreso le relazioni diplomatiche, interrotte 7 anni fa.
I negoziati erano iniziati nei mesi scorsi, ma non si può non osservare che l’annuncio arriva in un momento delicatissimo per il Medio Oriente, nel pieno della gravissima crisi provocata dagli attacchi di Hamas – da sempre sostenuto dal governo iraniano – a Israele.
Va inoltre ricordato che il Sudan è uno dei paesi che ha firmato con Israele i Patti di Abramo – in Africa l’altro è il Marocco -, fortemente voluti dall’ex presidente americano Trump. Ci si chiede come cambieranno ora i rapporti tra i due paesi.
Prima della chiusura delle relazioni diplomatiche, per circa trent’anni i rapporti tra Khartoum e Teheran sono stati strettissimi sia sul piano diplomatico che economico che militare.
La speciale amicizia era iniziata negli anni Ottanta e si era rafforzata con la presa del potere a Khartoum, nel 1989, del Fronte Islamico Nazionale di Hassan al Turabi, che aveva portato alla presidenza Omar El-Bashir.
Erano gli anni in cui il Sudan era diventato rifugio di terroristi famosi, come il venezuelano Carlos, aderente al Fronte popolare per la liberazione della Palestina, o che sarebbero diventati famosi, come Osama bin Laden.
I due paesi condividevano l’iscrizione nella lista americana dei paesi sponsor di terrorismo e il conseguente isolamento internazionale.
Le due leadership condividevano una visione dello Stato in gran parte simile, che sarebbe stata definita dell’“islam politico”, seppur coniugato in modi diversi: una conclamata teocrazia a Teheran, il modello della Fratellanza Musulmana a Khartoum…
Secondo un rapporto dell’organizzazione Small Arms Survey, diffuso nel maggio del 2014, l’Iran avrebbe avuto un ruolo fondamentale nell’avviare e sostenere la produzione bellica sudanese.
I rapporti diplomatici tra i due paesi, già messi in crisi dall’alleanza del Sudan con l’Arabia Saudita nella guerra in Iran, si ruppero definitivamente nel gennaio del 2016, quando a Teheran fu saccheggiata l’ambasciata di Riyad.
Un importante ruolo nel raffreddamento delle relazioni ebbe anche l’arruolamento nelle fila dell’ISIS di diversi giovani sudanesi di buona famiglia.
La scoperta fu tra le cause dell’espulsione di tutte le associazioni e i gruppi iraniani a diverso titolo operanti in Sudan, accusati della loro radicalizzazione e della diffusione dei dettami dell’islam sciita in un paese in maggioranza sunnita.
La normalizzazione dei rapporti tra Khartoum e Teheran, che fa seguito a quella tra Iran e Arabia Saudita avvenuta nel marzo scorso con la mediazione della Cina, può essere letta anche come un altro segno dell’influenza dei gruppi islamisti vicini al passato regime sui vertici militari che dopo il colpo di stato del 25 ottobre 2021 fungono da governo del paese.
Ma anche come un segno concreto della nuova campagna di penetrazione di Teheran nel continente, palesata lo scorso luglio con il viaggio in Kenya, Uganda e Zimbabwe di Ebrahim Raisi, il primo presidente iraniano in tour in Africa negli ultimi 11 anni.