Il conflitto in corso dal 15 aprile in Sudan rischia di interessare sempre più direttamente il vicino Sud Sudan, dove parte l’oleodotto che trasporta il greggio fino a Port Sudan, sul Mar Rosso.
Fino ad ora il centro dei combattimenti tra l’esercito e le milizie Forze di supporto rapido (RSF) sono state la capitale Khartoum e la regione occidentale del Darfur, al confine con il Ciad.
Ma ora si sta aprendo un altro fronte di guerra nel Kordofan meridionale, con il coinvolgimento attivo di un terzo attore, l’SPLM-N, gruppo armato che dopo la caduta del regime islamista di Omar El-Bashir, nel 2019, aveva dichiarato un cessate il fuoco unilaterale, rinnovato annualmente.
La milizia guidata da Abdelaziz al-Hilu ha forti legami con il Sud Sudan e controlla parti della vasta regione – confinante con il Darfur occidentale e con il Sud Sudan – in cui si trovano i principali giacimenti petroliferi sudanesi.
Finora l’SPLM-Nord non è stata chiaramente allineata con nessuna delle due fazioni.
Il 21 giugno l’esercito ha però annunciato di aver respinto un attacco armato contro un suo presidio militare nella capitale regionale Kadugli. E ieri alcuni residenti della città hanno iniziato a fuggire, a causa delle crescenti tensioni tra SPLM-N e forze armate, che ora accusano la milizia di aver infranto l’accordo di cessate il fuoco.
Il quotidiano Sudan Tribune riferisce anche di altri scontri nella città di Dilling, ma l’SPLM-N nega di esservi coinvolto.
“Sebbene il nostro movimento non abbia preso parte a questi scontri, ciò non nega il nostro diritto a rispondere a qualsiasi attacco contro il popolo Nuba nelle aree controllate dall’esercito”, ha dichiarato al Sudan Tribune Mohamed Yousef al-Mustafa, membro di spicco dell’SPLM-N al-Hilu.
Sempre il 21 giugno fonti locali hanno anche riferito di scontri vicino al quartier generale dell’esercito nella città di Dalami, altra zona nella quale è mobilitata la milizia.
Quanto sta accadendo nel Kordofan meridionale sta allarmando il governo di Juba che il 20 giugno ha chiesto ai leader rivali di garantire il flusso continuo di petrolio verso il mercato globale – tra cui Cina, India, Malesia e Australia -, sottolineando il suo significato economico per entrambi i paesi.
Il giorno prima il quotidiano sudanese, di solito molto ben informato, ha diffuso la notizia di un ultimatum lanciato dalle RSF al Sud Sudan, nel quale i paramilitari guidati dal generale Mohamed Hamdan Dagalo “Hemeti” minacciavano di chiudere gli oleodotti nelle aree da loro controllate in Sudan se Juba non avesse condiviso parte dei proventi del petrolio o interrotto il pagamento delle tasse di transito al governo militare sudanese.
Una notizia fornita la scorsa settimana da “funzionari che hanno familiarità con la situazione” che nessuna delle parti coinvolte ha confermato ufficialmente.
Nel Kordofan meridionale, le RSF controllano le stazioni di pompaggio a Heglig – vicino alla zona petrolifera contesa di Abyei -, mentre le forze armate sudanesi sovrintendono alle rotte di trasporto verso Port Sudan, dove il petrolio viene caricato su navi mercantili per la vendita internazionale.
Le conseguenze di una chiusura sarebbero enormi per le economie dei due paesi e causare inoltre ritorsioni nei confronti di Juba da parte delle forze armate di Khartoum. (MT)