Sudan. Là dove si incontra il Nilo - Nigrizia
Politica e Società Salute Sudan
Viaggio tra un popolo piegato dalla crisi ma estremamente resiliente
Sudan. Là dove si incontra il Nilo
Un racconto dal Sudan, una terra dalla popolazione accogliente contesa tra una crisi economica tagliente, un governo militare e conflitti che la accompagnano da decenni
23 Marzo 2023
Articolo di Claudia Agrestino (da Khartoum)
Tempo di lettura 7 minuti
(Credit: Madison Erdall)

Esiste un punto nel cuore di Khartoum da cui è possibile osservare un incantevole fenomeno della natura: nel punto più a nord di Tuti Island, isola a forma di mezzaluna raggiungibile attraverso un ponte che la collega alla capitale, è possibile osservare il Nilo Bianco unirsi al Nilo Azzurro in un unico corso d’acqua.

Lì dove avviene la magia, tra piccoli chioschi di donne in niqab che vendono jabanà, giovani benzinai improvvisati che trasformano bottiglie di 7Up in taniche di benzina, decine di auto Tirhal (competitor locale del 50% più economico di Uber) è racchiusa la bellezza di una città, e in fondo di un paese, che soffre ma resiste.

(Credit: Claudia Agrestino)

Khartoum, tra sedie colorate e sommosse quotidiane

Più o meno una volta al giorno giunge la segnalazione di una protesta in corso per le strade della capitale. Una volta a Omdurman nell’area del mercato, un’altra vicino al ministero della salute, un’altra su Nile Street che costeggia il fiume, disseminata di chioschi e stabilimenti balneari dalle sedie colorate che si possono noleggiare per sistemarsi direttamente a mollo a riva.

A volte le mobilitazioni sono programmate e allora durano di più, a volte invece si dissipano nel giro di poche ore. Poi la città torna “silenziosa”, ma in fondo si percepisce sempre la sensazione che qualcosa sotto stia ribollendo.

Khartoum è disordinata, ma accogliente, ed evidente è il contrasto tra la periferia con pavimentazione inesistente, terra color mattone, case che sembrano montate una accanto all’altra per sbaglio, e la città nel senso più canonico del termine, con strade asfaltate, edifici governativi, musei, ponti e strutture di inaspettata bellezza architettonica.

Se sei povero e fuggi dalla guerra

Mayo è un “non-luogo”, non esiste sulle mappe geografiche e nessuno ne parla. Mayo è un campo profughi alle porte di Khartoum che raccoglie rifugiati e sfollati vittime delle guerre che hanno flagellato la regione nel corso degli anni. Qui risiedono più di 400mila persone e pur essendo un “accampamento informale” è tutto fuorché un campo come lo si potrebbe immaginare e tutto fuorché informale.

Non si vedono tende, né container, ma casupole di fango, cubi di pochi metri quadrati incastrati come un tetris di terra e mattoni crudi, una distesa di tasselli disseminati a perdita d’occhio. Se si guarda dall’alto, sui tetti delle abitazioni si possono intravedere pneumatici, bicchieri di plastica, sacchetti, immondizia di vario genere e provenienza; panni stesi e lenzuoli a copertura, piccoli baldacchini in cui si vendono prodotti di “marchi internazionali”.

Il campo è organizzato come un villaggio, quasi una vera e propria cittadina, perché in effetti non se ne intravede la fine. A Mayo intervengono solo le organizzazioni umanitarie che negli anni hanno costruito scuole e ambulatori medici, e anche per la presenza di queste strutture sembra qualcosa di più di un qualsiasi accampamento improvvisato.

Di fatto Mayo esiste da anni, formatosi nel corso dei decenni di conflitti che a fasi alterne accompagnano il Paese. Profughi fuggiti da conflitti di “vecchia data”, come quello in Darfur, e vittime di guerre nuove.

(Credit: Claudia Agrestino)

«Ormai Mayo è passato dall’essere un campo per sfollati interni all’acquisire l’aspetto di un insediamento permanente. Se chiedi a una persona che ci abita, soprattutto ai bambini che ci sono nati, di dov’è, dirà ‘di Mayo’», racconta il dottor Denu Fedaku, pediatra etiopico che presta servizio nell’ambulatorio pediatrico aperto nel 2005 dalla ong Emergency, dove donne e bambini (in media 60 al giorno) ricevono assistenza medica di base, ma anche cure pre e post natali.

«A Mayo l’acqua è contaminata, le condizioni igieniche sono inadeguate, non esistono infrastrutture e il livello di povertà è difficilmente descrivibile a parole». Fedaku ha già operato nel contesto dei campi profughi nella sua terra, l’Etiopia, ma anche per lui la realtà vissuta da centinaia di migliaia di sudanesi e non a Mayo è lontana da qualsiasi altra.

Secondo l’ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) nel 2022 in Sudan sono stati più di 300mila gli sfollati a causa di conflitti, per la maggior parte provenienti dagli stati del Kordofan Occidentale e del Nilo Azzurro dove gli ultimi mesi dell’anno hanno visto l’inasprirsi degli scontri tra le due comunità etniche rivali con un’escalation di violenze che ha portato a numerosi morti e feriti.

Un alto numero di sfollati e rifugiati provenienti anche da paesi confinanti (soprattutto Sud Sudan ed Etiopia) giunti in uno Stato provato da una crisi economica che non ha intenzione di mollare la presa, e che fa degli “ultimi arrivati” solo la fascia più vulnerabile di una popolazione già messa a dura prova.

Con prezzi triplicati rispetto al 2021, un’inflazione altalenante, un raccolto del 35% inferiore alla media anche a causa di una siccità persistente, il Sudan si colloca al primo posto tra i paesi del Nordafrica per percentuale di popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà: circa il 32%, a fronte del 27% di Egitto e Mauritania, del 15% della Tunisia, del 3% dell’Algeria e del 2% del Marocco.

La salute, un bene o un diritto?

Tra gli indicatori principali del livello di povertà di un paese, secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo in Sudan, sono stati rilevati la scarsità di alloggi adeguati, un difficile accesso all’energia elettrica, mancanza di acqua pulita, beni primari e servizi igienico-sanitari.

Aisha, 14 anni, e suo papà Mohammed, vivono nello stato di al-Jazira, in un piccolo villaggio a due ore e mezza di auto da Khartoum. Si trovano nel Centro Salam di cardiochirurgia di Emergency nel sobborgo di Soba Hilla, appena alle porte della capitale. Aisha aspetta in terapia subintensiva il giorno della sua operazione al cuore.

Le sue valvole non stanno troppo bene per colpa della cardiopatia reumatica, una patologia che colpisce pochissimi bambini in Europa, ma moltissimi in Africa, dove una banale infezione non curata per mancanza di antibiotici, terapie e visite di prevenzione, può portare a un danneggiamento al cuore risolvibile solo attraverso la chirurgia.

Ma in Africa, e il Sudan non è da meno, un’operazione del genere – e ancora prima una corretta diagnosi – possono costare così tanto da convincere le famiglie ad abbandonare l’idea. Il tutto esasperato ancora di più dall’aumento dei prezzi del carburante (se ti vuoi spostare e con urgenza, devi per forza avere un’auto a disposizione per poter percorrere le lunghe distese di nulla che separano i villaggi dai centri abitati, e che soprattutto sia adatta alle strade particolarmente dissestate).

(Credit: Claudia Agrestino)

«Al villaggio tiro avanti con qualche lavoretto qua e là – racconta Mohammed – ma in famiglia siamo dieci e quando al primo ospedale pubblico, al secondo, e al terzo che abbiamo girato ci hanno chiesto di pagare cifre esorbitanti, abbiamo dovuto rinunciare». Ora Aisha potrà ricevere gratuitamente ogni trattamento di cui ha bisogno.

Ma per uno che ci riesce, tanti sono coloro che ancora non possono permettersi nemmeno una medicazione senza pagare prezzi assolutamente inadeguati ai salari medi (ormai scesi a circa 650 dollari annui). Proprio quest’ultima è una delle cause dell’importante “fuga di cervelli”, anche sanitari, che diventa così una delle più gravi conseguenze di questa crisi economica, senz’altro sul lungo termine.

(Credit: Claudia Agrestino)

Qualcuno che in Sudan ci vive sostiene che ormai tutti si siano abituati. Alla crisi, economica e politica, alla vita così com’è, e che in fondo i sudanesi abbiano saputo adattarsi. Ma Khartoum è una città viva che lotta per la resistenza. In modo “gentile”, senza troppo pretendere, dall’ormai lontano 2019, e fa sentire la propria voce. Forse bisbiglia e la senti poco, dolcemente, ma è un suono che non puoi ignorare.

La sera, quando cala un buio pesto si vede solo la Luna, una sottile falce rovesciata, e qualche bagliore accompagnato da un odore di bruciato e da fumo in lontananza. A Soba qualcuno ha acceso il fuoco per la cena.

 

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