Quando, nei giorni scorsi, si è diffusa la notizia che uomini armati avevano attaccato la prigione di massima sicurezza di Kober, dove sono detenuti i prigionieri politici, i mass media hanno esitato a diffonderla, pensando ad una delle molte fake news che circolano in questi giorni sul conflitto in Sudan.
Ma le conferme sono ormai numerose, documentate anche da immagini fatte circolare sui social media. Ѐ dunque ormai un fatto accertato, un altro tra i tanti che testimoniano del momento drammatico e caotico che il paese sta vivendo.
I due belligeranti si rimpallano la responsabilità dell’assalto, ma alcune testimonianze di carcerati che sono fuggiti grazie agli scontri puntano il dito contro i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf).
L’assalto alla prigione di Kober – posta a Khartoum Nord, una delle città gemelle della capitale del Sudan – ha un’enorme valenza politica, perché è vi era detenuto da quattro anni il 79enne Omar El-Bashir, presidente del Sudan per poco meno di trent’anni, deposto nell’aprile del 2019 da una mobilitazione popolare di fatto tradita da un colpo di stato di palazzo orchestrato dall’attuale presidente, generale al-Burhan, capo dell’esercito (SafF), e dall’attuale vicepresidente, generale Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto con il soprannome di Hemetti, comandante e “padrone” dei paramilitari delle Rsf.
Sono i due che in questi giorni stanno mettendo a ferro e fuoco il paese.
A Kober erano rinchiusi anche altri importanti esponenti del regime islamista di El-Bashir. Tra gli altri, Abdel-Rahim Muhammad Hussein che aveva ricoperto le cariche di ministro della difesa e dell’interno, e Ahmed Haroun, sottosegretario al ministero dell’interno con delega alla sicurezza in Darfur e poi ministro per gli affari umanitari negli anni più critici della guerra civile in quella regione. Insieme ad Haroun e Hussein, sono ora liberi anche altri pezzi grossi del passato regime, come Ali Osman Taha, Awad El Jaz e Nafi Ali Nafi. Tutti hanno avuto importanti incarichi di governo durante la dittatura di El-Bashir e sono considerati tra i falchi del partito al potere in quegli anni, il National Congress.
El-Bashir, Hussein e Haroun sono ricercati dalla Corte penale internazionale (Cpi) con pesantissime accuse quali genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità per fatti accaduti durante la guerra civile in Darfur. Dieci sono i capi di accusa contro l’ex presidente, addirittura quaranta quelli contro Ahmed Haroun.
Il Consiglio sovrano, la maggiore istituzione sudanese, presieduta dal generale al-Burhan, aveva sempre resistito alle richieste della Cpi e alle pressioni interne perché l’ex presidente e i suoi coimputati fossero processati dal tribunale internazionale, dicendo che sarebbero stati portati davanti ad una Corte sudanese. Ma non è mai successo.
Anzi, era chiarissimo il tentativo di trattenerli in carcere per altri motivi. Corruzione e appropriazione indebita nel caso dell’ex presidente, ad esempio. Infatti un eventuale processo, per di più se tenuto presso un tribunale internazionale, avrebbe con ogni probabilità messo in luce anche le non poche responsabilità degli stessi al-Burhan ed Hemetti.
Ora il problema potrebbe essere stato risolto. Kober sembra essere ormai vuota. Non è chiaro dove si trovi l’ex presidente. Fonti dell’esercito hanno dichiarato all’Associated Press che era stato trasferito, insieme ad Hussein e Haroun, in un ospedale militare sotto stretta sorveglianza già all’inizio della crisi.
Le ragioni potrebbero essere molteplici. Certo la protezione da eventuali attentati alla loro vita è una. Ma le Rsf affermano che il trasferimento fa parte di un piano di restaurazione del vecchio regime. Un’affermazione forte, ma non senza fondamento. Quest’accusa viene spesso lanciata, infatti, contro i militari al governo dal momento che, dopo il colpo di stato dell’ottobre 2021, diversi esponenti del vecchio regime sono stati reinsediati nei loro ruoli e funzioni.
Dello stesso parere le Forze per la libertà e il cambiamento (Ffc), il coordinamento delle organizzazioni della società civile che ha guidato la mobilitazione che ha portato alla caduta di El-Bashir e il processo di transizione democratica. Un loro portavoce ha detto che la dichiarazione di Haroun rende chiaro il disegno “di restaurare il potere della giunta tirannica (di Bashir, ndr) attraverso la guerra di questi giorni”. E aggiunge che è ormai evidente “che dietro la guerra in corso ci sono membri del deposto regime (di Bashir, ndr)”.
La versione della Cnn, ripresa da un post vocale – registrato, sembra, dallo stesso Haroun – che circola nei social media è, però, diversa. Vi si dice che lui e altri esponenti del regime precedente sono stati liberati dalle guardie carcerarie stesse, che non avevano potuto controllare una protesta per la mancanza di acqua e di cibo. Tra i liberati, anche l’ex presidente.
Sembra che Haroun, nel suo messaggio, chieda ai miliziani delle Rsf di confluire nell’esercito. Se fosse vero, confermerebbe il fatto che le Saf contano su appoggi nel regime di El-Bashir. Ma i portavoce dell’esercito hanno preso subito le distanze dicendo di non aver nulla a che fare con le dichiarazioni di Haroun. Impossibile per ora dire che cosa sia veramente successo.
Ma lo svuotamento delle prigioni sembra essere un obiettivo degli scontri dei giorni scorsi. Infatti non solo la prigione di Kober è stata presa d’assalto. Secondo Radio Dabanga uomini con le divise delle Rsf ne avrebbero attaccato diverse nella capitale e nei suoi dintorni, liberando migliaia di carcerati, la maggior parte detenuti per crimini comuni. A conferma, girano sui social media foto di lunghe file di carcerati che si allontanano da una delle prigione coinvolte con uno zainetto sulle spalle. Centinaia di detenuti sono fuggiti anche dalle prigioni di Nyala, El Fasher e Ed Daein nel Darfur Occidentale.
Ѐ chiaro che la liberazione di tanti detenuti per reati comuni aggiunge altre preoccupazioni a quelle già pesanti che i cittadini di Khartoum devono affrontare in questi giorni. Meno chiara invece la ragione di un’azione dall’impatto così drammatico sulla tenuta psicologica stessa della gente. Si può forse pensare ad un facile reclutamento di persone disposte a tutto nelle fila di milizie che potrebbero aver perso molti più uomini del previsto. Ma non è che un’ipotesi, per ora, come altre, senza riscontri.