Sudan: nuove armi alimentano il conflitto - Nigrizia
Conflitti e Terrorismo Sudan
Amnesty International documenta forniture da Cina, Russia, Serbia, Turchia, Emirati Arabi Uniti e Yemen
Sudan: nuove armi alimentano il conflitto
L'organizzazione torna a chiedere un'estensione dell'embargo in vigore in Darfur a tutto il paese
25 Luglio 2024
Articolo di Redazione
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La guerra iniziata il 15 aprile 2023 in Sudan è alimentata da un flusso costante di armi e munizioni, fornite da attori esterni alle due parti in conflitto. La denuncia è contenuta in un rapporto, Nuove armi alimentano il conflitto in Sudan, diffuso ieri da Amnesty International.

Il report – basato sull’analisi di oltre 1.900 registrazioni di spedizioni provenienti da due diversi fornitori di dati commerciali e sull’esame di prove digitali e open source – individua l’ingresso nel paese di grandi quantità di armamenti di recente produzione, provenienti da paesi tra cui Cina, Russia, Serbia, Turchia, Emirati Arabi Uniti e Yemen.

Il rapporto non cita invece i droni iraniani usati dalle Forze armate sudanesi (SAF).

“Fornendo armi al Sudan, gli stati parti del Trattato sul commercio delle armi – come Cina e Serbia – stanno violando i loro obblighi legali ai sensi degli articoli 6 e 7 del Trattato, minando quindi il quadro giuridicamente vincolante che regola il commercio globale di armi”, fa notare Deprose Muchena, direttore senior di Amnesty International per l’impatto regionale sui diritti umani.

Che ricorda inoltre un’altra costante violazione, quella dell’embargo esistente sull’ingresso di armi nella regione occidentale del Darfur. Un embargo che Amnesty torna a chiedere venga esteso urgentemente anche al resto del Sudan.

Emergenza umanitaria

Intanto continua ad aggravarsi la crisi umanitaria nel paese, dove quasi 26 milioni di persone soffrono di “fame acuta”, con 750mila persone che sono a un passo dalla carestia, secondo gli ultimi dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA). Ed è arrivato a 10 milioni il numero degli sfollati interni e dei rifugiati nei paesi vicini, la metà dei quali sono bambini.

Una crisi in costante deterioramento, aggravata dalle enormi difficoltà per le agenzie umanitarie di consegna degli aiuti alla stremata popolazione. I colloqui indiretti facilitati dalle Nazioni Unite, conclusi il 19 luglio scorso a Ginevra tra l’esercito e i paramilitari Forze di supporto rapido (RSF) si sono conclusi senza il raggiungimento di un accordo umanitario.

Un nuovo tentativo di mediazione per arrivare a un cessate il fuoco è previsto a partire dal 14 agosto, sempre in Svizzera. La mediazione è affidata a Stati Uniti e Arabia Saudita, con Unione Africana, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Nazioni Unite nel ruolo di osservatori.

Per ora solo una delle due parti ha reagito pubblicamente all’annuncio fatto il 23 luglio dal segretario di stato americano Antony Blinken. Il leader delle RSF, Mohamed Hamdan Dagalo, alias Hemeti, ha comunicato che parteciperà.

La nuova iniziativa è l’ultima di una lunga serie di tentativi di arrivare a una tregua armata, finora tutti falliti.

Le SAF avevano precedentemente rifiutato il coinvolgimento degli Emirati Arabi Uniti nei colloqui, accusando il paese del Golfo di sostenere militarmente le RSF. La recente conversazione telefonica tra il capo del governo militare sudanese, Abdel Fattah al-Burhan, e il presidente degli Emirati, Mohamed bin Zayed, potrebbe però aver ammorbidito le posizioni dell’esercito.

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