Si inasprisce la repressione del regime militare golpista in Sudan. La commissione d’inchiesta incaricata di far luce sul sanguinoso attacco a un sit-in pro-democrazia il 3 giugno 2019, che ha causato almeno 120 morti, ha sospeso le sue attività ieri dopo un raid delle forze di sicurezza nel suo quartier generale a Khartoum alla fine della scorsa settimana.
I militari hanno ordinato alle guardie di evacuare l’ufficio, consegnandolo alla commissione per gli affari dei partiti politici e impedendo al personale della commissione di recuperare attrezzature e documenti sensibili.
In un comunicato Nabil Adeeb, capo dell’organismo investigativo, chiede di poter accedere agli uffici per “per accertarsi che non vi siano apparecchiature o strumenti che possano essere utilizzati per svelare i segreti dell’indagine” e per poter verificare che i documenti della commissione non siano stati manomessi.
All’inizio di marzo l’avvocato per i diritti umani ha rivelato che il ministero delle finanze aveva chiesto loro di cedere un piano del loro edificio alla commissione per gli affari dei partiti politici. Una richiesta respinta sulla base della natura confidenziale della loro attività investigativa, che richiede che i locali non debbano essere condivisi con altre istituzioni.
La commissione ha ampi poteri per convocare testimoni, compresi funzionari pubblici, e ha accesso a documenti ufficiali, rapporti di sicurezza e cartelle cliniche per indagare sul raid. Il comitato ha raccolto importanti documenti e video che mostrano gli ufficiali che comandavano le forze di sicurezza (esercito e milizie delle Forze di supporto rapido) compiere i massacri.
I leader del colpo di stato di ottobre, che ha rovesciato il governo di condivisione del potere con i civili dopo la deposizione del trentennale regime di Omar El-Bashir nel’aprile 2019, sono tra i sospettati di aver pianificato e ordinato l’attacco contro manifestanti pacifici.
Ieri intanto nuove proteste sono state disperse con gas lacrimogeni nella capitale, provocando una cinquantina di feriti. La manifestazione è stata l’ultima di una serie di proteste contro il golpe militare di ottobre. Da allora non è stata trovata una via d’uscita politica dalla crisi. I negoziati sotto l’egida dell’inviato delle Nazioni Unite sono rimasti infruttuosi.
I generali promettono di cedere il potere a un governo eletto con elezioni il prossimo anno. Ma intanto agiscono consolidando con la forza il loro controllo sulle istituzioni e sulle risorse economiche del paese.