Circa un terzo delle domande di visti per l’area Schengen europea presentate da cittadini africani vengono respinte. Si tratta del tasso di rifiuto più alto di qualsiasi regione al mondo. È quanto risulta (e diremmo che si tratti di una conferma) dal recente report di Henley & Partners, società di consulenza sull’immigrazione. Nel 2022 l’Africa era in cima alla lista dei respinti con il 30%, vale a dire una su tre, di tutte le domande esaminate, tasso superiore – come risulta dall’analisi – almeno del 10% rispetto alla media globale. E questo nonostante il continente abbia presentato il minor numero di domande di visto pro capite.
A fare le spese di questo “pregiudizio predeterminato”, come è stato definito, non sono soltanto i singoli individui perché ad essere in gioco sono relazioni commerciali, scambi accademici, opportunità di crescita. E se gli Stati europei hanno citato principalmente «ragionevoli dubbi sull’intenzione dei richiedenti il visto di tornare a casa» nei loro respingimenti, i ricercatori sostengono che il sistema europeo dei visti «dimostra chiaramente un’apparente parzialità nei confronti dei richiedenti africani».
Fatto sta che l’accesso limitato ai paesi ricchi e gli alti tassi di rifiuto del visto, fanno sì che gli africani siano stati esclusi da numerose opportunità non solo nel campo degli studi, per esempio, ma anche nel commercio multinazionale, nel fare rete ed esplorare iniziative imprenditoriali internazionali. «Gli imprenditori e gli investitori africani vengono spesso esclusi dai lucrosi mercati globali, ostacolando il loro potenziale di crescita economica e prosperità finanziaria», osserva il rapporto. Le domande di visto Schengen risultano diminuite a livello globale: da 16,7 milioni nel 2014 a 7,6 milioni nel 2022, con un calo di quasi 9 milioni di domande equivalete al 54,7%. Per quanto riguarda l’Africa, nello stesso periodo, il numero assoluto di domande per l’Europa è diminuito da 2,22 milioni nel 2014 a 2,05 milioni nel 2022, con un calo pari al 7,7%.
Quasi il doppio della media globale
Ma, contemporaneamente, è salito il tasso di rifiuto del visto. A livello globale è pari al 12,5%. In Africa, come dicevamo, ha raggiunto invece il 30%, quasi il doppio della media globale, ed era il 18% nel 2014. Circa tre richiedenti di visto Schengen africani su dieci sono stati respinti, rispetto a uno su dieci a livello mondiale. Il continente – nel 2022 – rappresenta sette dei primi 10 paesi con il più alto tasso di rifiuto del visto europeo: Algeria (45,8%), Guinea-Bissau (45,2%), Nigeria (45,1%), Ghana (43,6%), Senegal (41,6%), Guinea (40,6%) e Mali (39,9%). Al contrario, solo un richiedente su venticinque residente negli Stati Uniti, in Canada o nel Regno Unito è stato respinto, e uno su dieci dalla Russia. Risulta, dunque, che gli algerini si trovano ad affrontare un tasso di rifiuto dieci volte superiore a quello dei candidati canadesi, mentre i ghanesi hanno quattro volte più probabilità di essere respinti rispetto ai russi. I nigeriani devono affrontare un tasso di rifiuto rispetto ai richiedenti in Turchia quasi tre volte superiore e doppio rispetto a quello iraniano. Ma ci sono delle eccezioni: le Seychelles e Mauritius, che insieme a 61 paesi dell’America Latina e dell’Asia sono esenti dall’obbligo del visto Schengen. Alcuni paesi africani come il Sudafrica, il Botswana e la Namibia devono affrontare un tasso di rifiuto relativamente basso, inferiore al 7%. Sono eccezioni che hanno il loro significato: parliamo di paesi ad alto reddito e, per esempio, per quanto riguarda le Seychelles e Mauritius, inserite nella lista dei cosiddetti paradisi fiscali.
Non è un caso che l’accesso ai visti Schengen corrisponda al potere economico e del passaporto del paese di cittadinanza del richiedente. Più povero è il paese di nazionalità, maggiore è il tasso di rifiuto. Molti paesi africani hanno un basso reddito nazionale lordo pro capite e si collocano anche in basso nell’indice Henley Passport, quello che misura il numero di destinazioni in cui un titolare di passaporto può entrare senza visto. Più si sta in basso nella lista meno possibilità si hanno di viaggiare in Europa con un visto regolare. Paradossalmente, dunque, i passaporti spesso ostacolano anziché facilitare la mobilità degli africani. Tra l’altro le richieste di visto, siano esse presentate per motivi di lavoro, studio o turismo, sono soggette a processi di richiesta lunghi e macchinosi. I rifiuti sono molto costosi per i richiedenti, in particolare per le tariffe non rimborsabili, ma anche per il trasporto per raggiungere le Ambasciate e altre spese. E poi va considerata tutta la rabbia, la delusione, la frustrazione che questi rifiuti alimentano.
La denuncia di Owusu-Gyamfi
Soprattutto quando sembrano più che mai ingiusti e ingiustificati. È il caso di tanti artisti, giornalisti, relatori, accademici, scienziati che, nonostante il loro curriculum e la regolare documentazione, si sono visti negare il visto. Uno degli ultimi casi da manuale è quello di Sandra Owusu-Gyamfi, dottoranda presso l’Università del Ghana, che ha affidato a un intervento, pubblicato su Nature e ampiamente diffuso, la frustrazione per non aver potuto partecipare a una conferenza sulla biodiversità a Lisbona. Conferenza alla quale era stata invitata. «Demoralizzata, imbarazzata e insultata», questi i sentimenti della studiosa, sentimenti condivisi da moltissimi altri colleghi che si sono trovati nella stessa situazione. Secondo un’inchiesta del 2018 condotta dall’organizzazione di ricerca RAND – cita la biologa – i ricercatori africani e asiatici hanno maggiori probabilità di avere problemi legati ai visti per visite a breve termine.
E un’analisi del 2023 della Royal Society di Londra ha mostrato che nel 2022, dei 30 territori per i quali il Regno Unito ha rifiutato più spesso i visti turistici, 22 erano in Africa. Tutte occasioni perse, non solo per chi ha ricevuto il rifiuto, ma anche per i paesi che non hanno permesso lo scambio di studi, intuizioni, soluzioni provenienti da altre parti del mondo. Ma torniamo al report. Gli analisti fanno notare che la sola possibilità di soggiorno illegale (addotta dai funzionari dei consolati) non può spiegare i tassi di rifiuto significativamente più alti tra i richiedenti africani. «Non ci sono prove – si afferma – che suggeriscano che un tasso di rigetto più elevato porti a una diminuzione della migrazione irregolare o dei soggiorni oltre il visto». Sebbene fattori come il reddito, l’economia nazionale, la credibilità del ritorno e la forza del passaporto rappresentino parzialmente i tassi di rifiuto del visto, questi elementi non offrono una spiegazione esaustiva delle disparità con altre regioni. «La validità del passaporto e i livelli di reddito da soli non possono giustificare pienamente le variazioni nei tassi di rifiuto per i richiedenti africani, come evidenziato dai tassi di rifiuto comparativamente più bassi per paesi come India e Turchia».
Insomma, come a ribadire che le motivazioni del rifiuto sembrano essere di altra natura: quel pregiudizio di fondo che andrebbe affrontato senza ipocrisie. L’Unione Europea – suggeriscono gli autori del report – deve affrontare le attuali pratiche discriminatorie nell’ambito del processo di richiesta del visto e lavorare per promuovere giuste e pari opportunità per percorsi legali di mobilità tra Africa ed Europa. Oltretutto, farlo vorrebbe dire per l’Europa impegnarsi a rafforzare le relazioni commerciali e i partenariati tra i due continenti a vantaggio di entrambi.