Tanzania: l’UE cancella i finanziamenti a progetti che danneggiano i maasai
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Tagliati fondi per 18,4 milioni di euro. Una vittoria per le organizzazioni per la difesa dei diritti alla terra dei popoli indigeni
Tanzania: l’UE cancella i finanziamenti a progetti che danneggiano i maasai
12 Giugno 2024
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 3 minuti
Proteste della comunità maasai di Ngorongoro contro gli sfratti nel gennaio 2024 (Credit: Boniface Mwabukusi profilo X)

Dopo la sospensione dei fondi decisa dalla Banca Mondiale, anche la Commissione europea ha rivisto i criteri per i suoi finanziamenti a sostegno dei progetti di conservazione ambientale, che molto spesso vanno a scapito dei diritti alla terra dei popoli nativi e delle comunità locali, e ha cancellato stanziamenti per milioni di euro alla Tanzania.

Secondo la rete internazionale per il supporto ai maasai, The Maasai International Solidarity Alliance (Alleanza per la solidarietà internazionale ai maasai – MISA), che ne dà notizia in un comunicato stampa diffuso il 7 giugno, ripreso da Survival International, il provvedimento è dovuto alla pressione delle organizzazioni per la difesa dei diritti alla terra dei popoli indigeni che hanno denunciato le politiche del governo tanzaniano che sta sfrattando decine di migliaia di maasai e altre comunità indigene dalle loro terre ancestrali per far posto a riserve destinate allo sviluppo del turismo di lusso e di massa.

Nel comunicato si fa riferimento ad un documento ufficiale della Commissione europea riguardante un bando per l’erogazione di 18,4 milioni di euro per progetti di protezione ambientale in Africa orientale. I fondi fanno parte del supporto al programma NaturAfrica, con cui la Commissione si propone di “sostenere la conservazione della biodiversità in Africa, con un approccio innovativo che prevede la centralità della gente”.

NaturAfrica è un programma controverso, contestato in particolare proprio dalle organizzazioni per la difesa dei diritti delle minoranze e dei popoli indigeni. Dopo questa decisione e la nuova attenzione della Commissione ai diritti umani e ai diritti alla terra delle popolazioni locali, qualche preoccupazione potrebbe ora essere ridimensionata.

Lo stanziamento citato avrebbe dovuto essere suddiviso tra il Kenya e la Tanzania, ma con una modifica approvata il 5 giugno si dice che i fondi potranno essere utilizzati solo per interventi sul territorio kenyano.

Originariamente gli obiettivi dell’erogazione erano presentati nel titolo nel modo seguente: Biodiversity conservation and sustainable community livelihoods in southern Kenya northern Tanzania … and northern Kenya… (Conservazione della biodiversità ed economia comunitaria sostenibile nel Kenya meridionale, nella Tanzania settentrionale … e nel Kenya settentrionale …)

Dal 5 giugno è sparito l’accenno alla Tanzania, perciò le proposte di progetto per il paese non sono più accettabili. Tutti i fondi dovranno essere utilizzati in Kenya.

Inoltre nel documento si dice esplicitamente che le proposte devono essere “guidate in modo visibile da un approccio basato sul rispetto dei diritti umani, con attività volte a migliorare il conseguimento dei diritti umani delle comunità locali e in particolare delle donne, dei giovani e delle popolazioni vulnerabili (come, ndr) i popoli indigeni”.

Si richiede infine che il rilevamento della situazione in cui si inserisce che l’intervento comprenda anche una valutazione dell’impatto delle attività del progetto sul rispetto dei diritti umani, che i beneficiari delle attività previste esprimano un consenso preventivo ed informato e che vengano istituite politiche e meccanismi che garantiscano il rispetto dei loro diritti.

Un miglioramento sostanziale del quadro in cui devono inserirsi i finanziamenti europei che, per ora, riguarda un singolo stanziamento. Si spera che il diritto alla terra dei popoli indigeni e delle comunità locali diventi un requisito di base richiesto per tutti i finanziamenti futuri, come è successo in passato per l’attenzione all’ambiente, la partecipazione delle donne e dei giovani e l’inclusione delle persone con disabilità.

Certamente il 5 giugno un primo significativo passo è stato fatto.

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