La protesta delle comunità maasai della Tanzania contro la campagna di trasferimenti forzati dalle aree dentro e intorno al famoso parco nazionale del Serengeti ha raggiunto Strasburgo.
Il 13 dicembre il parlamento europeo ha infatti approvato una risoluzione che condanna la campagna di sfratti portata avanti da tre decenni dal governo, in nome della conservazione, a Loliondo, nell’area naturalistica di Ngorongoro.
Nel testo si afferma che i diritti delle popolazioni indigene sono una parte non negoziabile di qualsiasi iniziativa di conservazione.
Una battaglia, quella delle comunità maasai, che si estende a livello globale, denunciando le tante violazioni dei diritti umani compiute nel mondo in nome della conservazione, anche con la complicità di organizzazioni ambientaliste.
Sotto accusa è il modello di salvaguardia dell’ambiente che espelle le popolazioni native invece di coinvolgerle nella sua gestione e valorizzazione.
«Questa risoluzione afferma chiaramente…che gli abusi dei diritti umani in nome della conservazione devono finire adesso. Si afferma inoltre che gli sfratti dei maasai non sono solo un problema tanzaniano, ma anche europeo», commenta Fiore Longo, responsabile della campagna Decolonize Conservation di Survival International.
«Violazioni simili si stanno verificando in tutto il mondo, finanziate con il denaro dei contribuenti europei e con il sostegno di grandi organizzazioni ambientaliste, con sede nei nostri paesi, che continuano a promuovere un modello di conservazione razzista e colonialista».
La condanna del parlamento europeo ha anticipato di un giorno una protesta in Germania, guidata dall’avvocato e attivista maasai Joseph Oleshangay, davanti alla sede della Società Zoologica di Francoforte (ZFS), un’organizzazione internazionale per la conservazione che i maasai considerano tra i primi responsabili delle espulsioni dalle loro terre ancestrali.
La lotta dei maasai di Ngorongoro contro l’esproprio delle loro terre ancestrali ha radici lontane. Iniziò nel 1992, quando il governo della Tanzania concesse alla Ortelo Businness Corporation (OBC), di proprietà di un cittadino di Dubai imparentato con la famiglia regnante dell’emirato, la licenza di organizzare battute di caccia nella zona, permettendogli di espandere la riserva su 1.500 km² di territorio masai.
La convivenza forzata durò fino al 2009, quando il parlamento approvò una legge che impedisce attività di pascolo e coltivazione su quel territorio. Da allora i maasai di Loliondo subiscono periodicamente tentativi di espulsione, anche con l’uso della forza.
Abusi e violenze – tra queste il divieto di accesso alle fonti di acqua, cibo e di reddito per questo popolo pastorale – che si sono intensificati negli ultimi anni, dopo che il governo ha avviato una campagna di trasferimento forzato di circa 80mila persone. Campagna che, nelle previsioni dell’esecutivo, dovrebbe concludersi entro il 2027.
A favore di queste politiche governative si è espressa, nel 2022, la Corte di giustizia dell’Africa orientale (con sede ad Arusha), alla quale i maasai si erano rivolti nella speranza di ottenere una sentenza di condanna.