La pubblica accusa ha ritirato ieri le accuse di omicidio contro 24 maasai, arrestati lo scorso giugno per l’uccisione di un poliziotto durante le proteste per lo sfratto forzato della comunità di Loliondo, destinata dal governo a diventare un’area protetta.
Il tribunale tanzaniano ha quindi ordinato la loro scarcerazione. «Non c’erano prove tangibili per giustificare il loro processo», ha dichiarato uno degli avvocati della difesa. E «l’ufficio del procuratore ha detto che non aveva intenzione di portare avanti il caso».
I maasai di Loliondo si oppongono alle autorità tanzaniane che accusano di averli violentemente sfrattarli da parte delle loro terre ancestrali nel nord della Tanzania per creare un’area esclusiva per safari e caccia grossa.
Il governo nega, spiegando la necessità di spostare parte delle comunità per tutelare l’ambiente e la fauna selvatica, visto il notevole aumento negli ultimi anni della popolazione e delle sue mandrie nella riserva di Ngorongoro, dove dal 1959 il numero di esseri umani è passato da 8mila a più di 100mila.
Il progetto prevede il ricollocamento di quasi 90mila maasai insediati in 1.500 chilometri quadrati dei 4mila della riserva naturale di Ngorongoro, patrimonio dell’umanità Unesco, vicino al parco del Serengeti. A giugno le autorità hanno cominciato a trasferire i maasai che vivevano fuori della riserva.
Trasferimenti volontari, secondo il governo, di fatto invece attuati con violenza dalle forze dell’ordine che hanno attaccato i villaggi e dato fuoco a numerose abitazioni. Sulla vicenda si erano espressi allora anche esperti delle Nazioni Unite che si erano detti “preoccupati” per i trasferimenti, “attuati senza il consenso libero, preventivo e informato” della popolazione.
Il 30 settembre la comunità maasai aveva poi assistito attonita alla sentenza a favore del governo emessa della Corte di giustizia dell’Africa orientale che si è espressa in seguito a una denuncia della comunità di pastori nomadi, ricorsi poi in appello.
Dietro al progetto, secondo loro, ci sarebbe l’interesse delle autorità a riservare il territorio alla caccia grossa, come già avvenuto nel 2009, quando migliaia di famiglie furono trasferite da Loliondo per consentire a una compagnia di safari degli Emirati Arabi, la Ortelo Business Corporation, di condurre spedizioni di caccia. Un accordo annullato nel 2017, in seguito ad accuse di corruzione.