Una “dichiarazione di impegno” per una pace duratura, definita dal ministro degli Esteri del Kenya una “prima pietra miliare” per porre fine ai conflitti interni che da anni paralizzano il Sud Sudan, è stata firmata il 16 maggio tra il governo di transizione sudanese e i gruppi armati che non hanno aderito agli accordi di pace che nel 2018 misero fine a cinque anni di guerra civile.
La firma dell’accordo, il cui contenuto non è stato reso pubblico, arriva a una settimana dall’avvio dei colloqui di mediazione ad alto livello, iniziati il 9 maggio a Nairobi, dopo che nel marzo 2023 l’ennesimo stallo dei precedenti tentativi di mediazione, in corso dal 2019 a Roma sotto l’egida della comunità di Sant’Egidio, aveva spinto il presidente Salva Kiir a chiederne il trasferimento in Kenya.
Lo ha ricordato lo stesso Kiir in apertura dei lavori, ringraziando papa Francesco e Sant’Egidio per il loro costante sostegno all’iniziativa di pace e sottolineando le solide basi su cui è stata costruita.
Alla cerimonia era intervenuto anche il leader di uno dei principali gruppi armati sudsudanesi, Pagan Amum, ex segretario generale del Movimento di liberazione del popolo sudanese (SPLM), ora leader del Real-SPLM, che in qualità di portavoce dei gruppi di opposizione aveva invitato tutti ad «abbandonare questa mentalità conflittuale», a «smettere di vederci come nemici» e a considerarsi invece come «fratelli e sorelle».
Presenti al momento della firma anche alti funzionari governativi, diplomatici, gruppi di opposizione, società civile e partner bilaterali, in qualità di testimoni dell’impegno a favore del processo di pace in Sud Sudan.
Tempi stretti
La speranza – il processo di mediazione è stato chiamato proprio così in lingua kiswahili, tumaini – è che si arrivi alla firma di un’intesa che sblocchi l’annoso impasse. E in tempi rapidi, perché a dicembre dovrebbero tenersi le prime elezioni democratiche del paese dopo l’indipendenza dal Sudan, raggiunta il 9 luglio 2011.
Un percorso disseminato di ostacoli, primi tra tutti proprio le rivalità e i conflitti etnico-politici e la mancata attuazione di molti dei punti chiave dell’accordo di pace del 2018.