Qual è il ruolo dei social media nella propaganda estremista e quanto pesa la disinformazione nel suo successo?
È una domanda che forse ci si pone ancora troppo poco, ma a cui la Somalia ha deciso di dare la sua risposta.
La scorsa settimana, il governo ha dichiarato l’assoluto divieto all’utilizzo delle app di TikTok e Telegram all’interno del proprio paese, dopo aver scoperto che questi canali vengono usati dai membri di al-Shabaab per organizzarsi tra loro e fare propaganda. Il tempo a disposizione per cessare tutte le attività è stato fissato per il 24 agosto scorso.
Il ministro delle comunicazioni Jama Hassan Khalif ha attaccato duramente il loro utilizzo, dichiarando che i terroristi le usano per alimentare la disinformazione e diffondere “immagini orribili”.
Mentre TikTok non ha per ora replicato, Telegram è intervenuta sostenendo di aver moderato attivamente e rimosso i contenuti diffusi sui propri canali dedicati alla propaganda terroristica. Ma quanto c’è di vero in tutto questo?
Il lato oscuro di Telegram
Telegram è un’app di messaggistica, simile a Whatsapp, usata spesso come sua alternativa perché più criptata e quindi più tutelante in fatto di privacy.
Questo la rende il terreno ideale per la diffusione incontrollata di contenuti di ogni sorta, tra cui spaccio di droga, traffici d’armi, revenge porn, contenuti pedopornografici e ovviamente estremismo (islamico e non). Per questo motivo è considerata da alcuni la nuova alternativa al “dark web”.
Ciò non vuol dire che piattaforme come Whatsapp o altre siano invece da considerarsi del tutto libere da questo tipo di utilizzo. Tutt’altro. Ma il ruolo che Telegram ha avuto finora ha un impatto maggiore. Tanto che da qualche tempo si è iniziato a parlare di “jihad mediatica”.
La collaborazione con Etidal
È vero che soprattutto nell’ultimo anno, i moderatori di Telegram si sono impegnati particolarmente per affrontare il problema. L’utilizzo controverso che ne viene fatto è sempre più noto e danneggia l’immagine dell’app.
Meno di due mesi fa, è circolata la notizia che, in collaborazione con il Centro globale per la lotta all’ideologia estremista (Etidal) sono stati rimossi ben 7 milioni di post e messaggi estremisti online e chiusi oltre 1.500 canali.
Ma i dati relativi alla loro diffusione rimangono comunque allarmanti. Tra aprile e giugno di quest’anno è stato registrato un picco della diffusione di contenuti da parte di al-Qaeda, con 615mila articoli pubblicati nel solo 18 aprile.
Da febbraio 2022, Etidal e Telegram dichiarano di aver chiuso oltre 28 milioni di canali estremisti.
Le origini: la privacy prima della sicurezza
La polemica va avanti da anni. La difesa a spada tratta della privacy degli utenti ha fin da subito spianato incredibilmente il terreno alla jihad.
D’altra parte, leggendo della decisione del governo somalo, è facile pensare a quando, nel settembre del 2015, il fondatore di Telegram Pavel Durov, incalzato sull’argomento durante un’intervista, dichiarò che la privacy è un bene più prezioso delle nostre paure su possibili cose brutte.
Meno di due mesi dopo, a Parigi ci fu il terribile attentato che colpì il Bataclan e altre zone della città, seminando centinaia di morti e feriti. Dalle indagini, emerse che i terroristi avevano fatto ricorso anche a Telegram per coordinarsi.
Sempre nel 2015, l’Is aveva pubblicato online un elenco di applicazioni “sicure” da utilizzare. Al primo posto, tra queste, risultava proprio Telegram.
Si tratta di un fenomeno che non si è assolutamente fermato e che riguarda da vicino anche l’Africa, sempre più al centro degli interessi delle cellule terroristiche.
In Nigeria, il gruppo terroristico Ansaru, affiliato ad al-Qaeda, utilizza abitualmente canali Telegram per comunicare e connettersi con gli altri gruppi jihadisti sparsi nel mondo.
La testata nigeriana Human Angle ha scoperto, nel 2022, come l’Is avesse moltiplicato, per esempio, i canali social in hausa, lingua parlata nel sud del Niger e nel nord della Nigeria, dove l’attività terroristica, come in tutto il Sahel, è particolarmente intensa.
Telegram e Wagner
Telegram era anche il canale di comunicazione preferito da Prigozhin, che lo ha sempre usato per lanciare messaggi e fare propaganda.
Prima che venisse dichiarato morto, molti canali affiliati al gruppo paramilitare Wagner avevano diffuso, nell’ultimo mese, contenuti propagandistici sul colpo di stato in Niger. Si era così passati dagli 11 contenuti sul Niger del mese precedente a 742 contenuti nelle ultime settimane, con una decisa spinta verso un sentimento antifrancese.
I bot
Telegram è prezioso agli estremisti anche per la facilità con cui si possono creare i bot, ovvero utenti artificiali programmati per interagire nelle chat, anche 24 ore su 24.
In questo modo, possono diffondere a macchia d’olio e incessamente ogni tipo di propaganda, tra cui quella della lotta jihadista. Nonostante negli ultimi anni siano state compiute molte indagini sul ruolo dei social media nel terrorismo, dell’utilizzo dei bot si sa ancora poco.
Uno studio pubblicato su The Global Network on Extremism and Technology (Gnet) ha rilevato che l’impiego dei bot fa parte di una strategia sofisticata da parte dell’Is, “in linea con la sua reputazione di essere tecnologicamente lungimirante”.
Questi software automatizzati svolgerebbero tre distinte funzioni: la prima, pubblicare, promuovere e amplificare i contenuti e la propaganda.
La seconda, moderare le discussioni all’interno dei canali e dei gruppi.
La terza, l’amministrazione degli stessi. Su 1,2 milioni di post analizzati, è emerso che in media i bot pubblicano circa 176 messaggi a testa ogni giorno.