Dopo le denunce simboliche che diversi giocatori di calcio congolesi hanno manifestato in più parti del mondo, lo sport continua a essere un veicolo delle tensioni che scuotono la regione dei Grandi Laghi. L’ultimo episodio in ordine di tempo si svolge sui campi da pallacanestro e vede coinvolte due paesi i cui rapporti diplomatici sono ai ferri corti da anni: Rwanda e Burundi. Al momento i confini fra i due stati sono chiusi per effetto di un provvedimento preso in modo unilaterale da Gitega, che accusa Kigali di sostenere la milizia anti-governativa Red-Tabara.
I fatti che gettano benzina sul fuoco nei rapporti fra i due paesi sono avvenuti lo scorso fine settimana durante la Basketball Africa League (BAL), un torneo continentale di pallacanestro a 12 squadre partito nel 2021 da una collaborazione fra la NBA statunitense e la federazione mondiale FIBA. E che vede anche una significativa presenza ruandese. La linea aerea di bandiera Air Rwanda è partner dell’iniziativa. La finale del torneo inoltre, è in programma a Kigali.
Fra gli enti che finanziano la competizione c’è anche la campagna del ministero del turismo nota col motto Visit Rwanda. Il suo slogan campeggia sulle maglie di tutte le squadre che stanno prendendo parte al campionato, così come lo si può vedere sulle divise di alcune delle più importanti squadre di calcio del mondo: Paris Saint-Germain, Bayern Monaco e poi l’Arsenal di cui il presidente Paul Kagame è tifosissimo.
Visit Rwanda, anzi no
Il nodo della questione è qui: il Dynamo Burundi Basket Club, franchigia di Bujumbura, la città più grande del Burundi, ha prima coperto il logo del turismo di Kigali durante la partita inaugurale del suo torneo, vinta contro i sudafricani del Cape Town Tigers la settimana scorsa. I giocatori burundesi si sono poi rifiutati di indossare la maglia con il banner ufficiale rwandese, dando così forfait per i match contro i marocchini del FUS Rabat Basketball e gli angolani del Petro Luanda, in programma a Pretoria rispettivamente domenica scorsa e martedì. Due ritiri consecutivi, ha reso noto il presidente della BAL Amadou Gallo, comportano automaticamente l’uscita dal torneo, che è quindi da considerarsi ufficiale.
La questione ha sollevato un putiferio all’interno della federazione cestistica burundese, la Febabu. La decisione della Dinamo ha fatto seguito a un’indicazione arrivata via mail dal presidente dell’organismo, Jean-Paul Manirakiza. La mossa del dirigente però, stando a quanto rivela il quotidiano locale Iwacu, non ha trovato il consenso di tutti i vertici della federazione. La crisi interna ha già portato alle dimissioni del responsabile della comunicazione dell’ente nazionale, Armand Nisabwe.
Uno dei giocatori della Dynamo, la guardia statunitense Bryton Hobbs, ha affermato che la scelta di rifiutarsi di non giocare è il frutto di una richiesta del governo. «Chi ha firmato i contratti lo ha fatto anche con gli sponsor, quindi sapeva in cosa si stava cacciando», ha aggiunto su Instagram il cestista, in un probabile riferimento alla dirigenza burundese.
Il Burundi ha chiuso la frontiera con il Rwanda a gennaio, qualche settimana dopo che un attacco della Red-Tabara provocasse 20 morti in un villaggio al confine con la Repubblica democratica del Congo. A milizia è tornata a colpire anche il mese scorso, uccidendo in un agguato almeno dieci persone stando a quanto riportato dal governo.
Relazioni travagliate
Le frontiere fra Burundi e Rwanda erano già state chiuse per sette anni fra il 2015 e il 2022, sempre nel contesto di accuse sul sostegno a gruppi armati sovversivi presenti nei reciproci paesi. Lo scorso dicembre, circa un anno dopo la riapertura, il presidente Evariste Ndayishimiye ha riaffermato che Red-Tabara è «foraggiato, protetto, ospitato e mantenuto in termini logistici e finanziari dal Ruanda». Kigali ha negato, e anzi ha ricordato di aver di recente estradato in Burundi alcuni ribelli presenti in Ruanda.
La Red-Tabara è nata nel 2015 e, secondo quanto riferiscono analisti concordanti, è di base nella provincia congolese orientale del Sud Kivu. Il sostegno di Kigali a questo gruppo armato non è accertato. Il Rwanda è comunque accusato da più parti di voler destabilizzare la regione finanziando anche altri gruppi armati in altri paesi. È il caso soprattutto dell’M23, una milizia che da circa due anni porta avanti un’offensiva nel Nord Kivu e che nelle ultime settimane è arrivata ad avvicinarsi al capoluogo Goma, dove vivono oltre un milione di persone.
L’ambiguità del ruolo del Rwanda nella regione non è l’unico motivo che ha spinto diversi attivisti e tifosi a criticare i già citati accordi fra Kigali e società calcistiche europee. Secondo diversi detrattori di queste iniziative, Kagame sta portando avanti questo massiccio programma di sportwashing nell’ottica di far dimenticare al mondo l’autoritarismo con cui governa il paese da circa 25 anni. Un punto di vista condiviso anche in patria da parti della società civile e della politica, che contestano inoltre l’utilizzo di soldi pubblici per questi tipi di operazioni.