Il Togo piange mons. Nicodème Barrigah-Benissan - Nigrizia
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L’arcivescovo di Lomé è morto il 4 agosto a 61 anni, al termine di una lunga malattia
Il Togo piange mons. Nicodème Barrigah-Benissan
Il processo di democratizzazione togolese perde un altro fervente e attivo difensore della democrazia e della giustizia sociale
06 Agosto 2024
Articolo di Elio Boscaini
Tempo di lettura 3 minuti

Domenica 4 agosto a soli 61 anni è morto all’ospedale Dogta-Lafiè (da qualche tempo lottava contro un tumore), mons. Nicodème Barrigah-Benissan, dal 2019 arcivescovo della capitale del Togo, Lomé. Nominato da papa Francesco, succedeva a mons. Denis Komivi Amuzu-Dzakpah.

Nato il 19 maggio 1963 a Ouagadougou (Burkina Faso), tre anni dopo, la famiglia rientrava in Togo. Il piccolo Nicodème sceglie di diventare prete. Segue il curriculum di studi normale e a 24 anni viene ordinato prete per l’imposizione delle mani di mons. Robert Tonyui  Dosseh  Anyron, l’allora arcivescovo di Lomé.

Dal 1990 al ‘93 troviamo don Nicodème agli studi a Roma al Pontificio istituto biblico. Rimane a Roma per gli studi di diritto canonico. Frequenta l’Accademia pontificia ed entra nella diplomazia vaticana. Dal 2000 al 2008, è segretario-consigliere nelle nunziature di Rwanda, Salvador, Costa d’Avorio e Israele.

Nel 2008 papa Benedetto XVI lo nomina vescovo di Atakpame in un momento non facile per quella diocesi. Vi rimane fino al 2019 quando è nominato arcivescovo di Lomé.

Tutti i togolesi lo conoscono perché dal 2008 al 2012 aveva presieduto la Commissione verità, giustizia e riconciliazione (CVJR) creata in seguito agli “avvenimenti” occorsi in seguito alla morte del generale Gnassingbe Eyadema (febbraio 2005). Secondo le Nazioni Unite, 500 erano state le vittime di quegli “avvenimenti”.

La Commissione fece un lavoro eccellente, “scientifico” si potrebbe definire, facendo chiarezza sulle troppe violenze vissute dal Togo tra il 1958 (due anni prima dell’indipendenza) al 2005, quando, dopo 38 anni di potere assoluto, Eyadema era morto.

L’imponente lavoro era stato consegnato al presidente Faure Gnassingbe, figlio di Eyadema (oggi al potere da 19 anni), nel corso di una solenne cerimonia. Servita a mettere l’immane lavoro della Commissione in… naftalina.

Non se n’è più parlato. Ma va riconosciuto a mons. Nicodème, che non cessava di chiamare tutti a fare la propria parte, di avere almeno tentato con tutte le sue forze di far uscire il Togo da quel circolo vizioso, peggio infernale ‒ elezioni, contestazioni, dialogo ‒ che serviva al potere per continuare a farsi beffa dei diritti del popolo togolese.

L’arcivescovo era conosciuto anche per il suo amore per la musica, il canto (si accompagnava con la chitarra) e il teatro. Nel ricevere il Grand prix del teatro togolese di letteratura 2020 per la sua pièce Le trône royal, aveva dichiarato: «Per me, l’arte è essenzialmente un mezzo di evangelizzazione, consiste nell’esprimere qualcosa di bello, buono e grande. E lo metto volentieri a servizio di Dio, dei grandi valori che guidano la mia vita».

Mentre noi togolesi piangiamo un uomo saggio, amante del processo democratico, uomo di riconciliazione, che la nostra terra, monsignore, ti sia leggera.

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