Tozzi Green accusata di land grabbing in Madagascar
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Associazioni locali insieme ad ActionAid Italia hanno presentato un’istanza all’OCSE
Tozzi Green accusata di land grabbing in Madagascar
La società, uno dei principali gruppi italiani nel settore delle energie rinnovabili, attraverso la sua filiale locale è impegnata da oltre un decennio in progetti di agricoltura industriale nella Grande Isola. Gli attivisti ora chiedono che l'azienda risarcisca le comunità e restituisca le terre accaparrate
17 Ottobre 2023
Articolo di Giulia Beatrice Filpi
Tempo di lettura 4 minuti
Coltivazioni di Tozzi Green a Satrokala. Dicembre 2013 (Credit: CC BY-SA 4.0) DEED

Articolo aggiornato il 25 gennaio 2024

La società italiana Tozzi Green S.p.a. è stata accusata di land grabbing e violazioni dei diritti umani in Madagascar attraverso un’istanza presentata al punto italiano di contatto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

Si tratta, secondo gli avvocati dello studio Dini-Saltalamacchia, che difendono la coalizione di attivisti malgasci e italiani promotori dell’iniziativa, del primo caso in cui una multinazionale italiana è accusata di land grabbing.

Tale forma di accaparramento delle terre è formalmente regolare ma di fatto lesiva rispetto a equilibri locali consolidati da secoli e basati su sistemi diversi rispetto a quello della proprietà privata.

Attraverso la sua filiale Jatropha Technology Farm Madagascar (JTF-Madagascar Sarl), la Tozzi Green è presente da oltre dieci anni nella regione meridionale di Irohombe, con progetti di agricoltura industriale che interessano migliaia di ettari destinati a varie colture.

In particolare, l’azienda ha inizialmente provato a coltivare jatropha, una pianta utilizzata come biocarburante, per poi optare, dato lo scarso rendimento di questa coltura, per mais e soia destinati all’alimentazione animale e all’esportazione.

La cessione dei terreni all’azienda italiana da parte dello stato malgascio sarebbe stata formalizzata, secondo le ricostruzioni del Collectif Tany, un’associazione per la difesa delle terre malgasce, attraverso due contratti di affitto successivi e di durata trentennale, il primo firmato nel 2012 e il secondo nel 2018.

In questo modo, Tozzi avrebbe di fatto acquisito a lungo termine un totale di oltre diecimila ettari distribuiti tra i comuni di Satrokala, Andiolava e Ambatolahy.

Le rivendicazioni delle comunità locali

Secondo le associazioni, il coinvolgimento delle comunità locali, previsto dalla legge malgascia, nella procedura per la locazione dei terreni, sarebbe avvenuto attraverso pratiche opache e poco inclusive.

Le testimonianze raccolte dagli attivisti parlano di firme raccolte durante una cerimonia e usate all’insaputa dei firmatari come prova dell’adesione ai piani dell’azienda.

Inoltre, fanno riferimento a promesse di progetti di sviluppo poi realizzati solo parzialmente e persino a minacce e pressioni da parte delle autorità locali nei confronti delle persone refrattarie a cedere la propria terra.

Le organizzazioni locali stimano inoltre che, nelle zone interessate dalle attività dell’azienda, queste abbiano peggiorato la qualità della vita di migliaia di famiglie.

«La società ha fatto deviare dei corsi d’acqua per servirsene. Le terre per gli animali sono state ridotte, quindi gli animali hanno poco da mangiare», ha spiegato il 13 ottobre scorso Jean Daré, attivista del comitato di difesa delle terre di Ambatolahy, incontrando la stampa durante una conferenza online. 

«La Tozzi aveva promesso lavoro, ma si tratta di impieghi giornalieri», ha aggiunto.

L’istanza all’OCSE sostiene inoltre che l’azienda abbia realizzato, senza preventivamente consultare le comunità locali, pompe a motore che avrebbero diminuito sensibilmente l’approvvigionamento idrico delle risaie locali, a vantaggio di quello delle coltivazioni di mais. 

Le associazioni malgasce Tany e BIMTT, insieme ad ActionAid Italia, chiedono che l’azienda risarcisca le comunità e restituisca loro le terre accaparrate.

Sul fronte opposto, la Tozzi Green nel suo sito web evidenzia la sostenibilità dei suoi progetti nell’area, specificando, tra l’altro, che “si impegna a tutelare e rispettare i diritti di tutte le persone” e che “garantisce e riconosce i diritti civili, sociali, economici e culturali traducendoli in concrete opportunità”.

La società tiene a sottolineare che “impegna permanentemente circa 200 dipendenti e almeno altri 200/250 lavoratori stagionali che ricevono una retribuzione pienamente in linea con la normativa del Madagascar”.

In una mail inviata alla redazione di Nigrizia, l’azienda fa sapere inoltre di aver “dedicato una sezione del sito a un’operazione di trasparenza illustrando la correttezza del proprio operato – anche alla luce delle Linee Guida OCSE invocate dalle ong – e confutando le fake news circolate sulla vicenda”.

Paese sempre più esposto alla fame

Il Madagascar ha affrontato in questi anni un peggioramento della sua già precaria situazione alimentare ed è stato duramente colpito dal cambiamento climatico, con siccità e cicloni ricorrenti.

Secondo l’ultimo rapporto annuale del Global Hunger Index, uno studio sulla sicurezza alimentare mondiale, la Grande Isola è al secondo posto nella classifica dei paesi più esposti alla fame, con oltre metà della popolazione denutrita.

L’attuale presidente, l’imprenditore Andry Rajoelina, ha fatto del sostegno all’agricoltura industriale uno dei pilastri della sua politica, con l’obiettivo dichiarato di migliorare le condizioni di sicurezza alimentare nel paese.

Rajoelina, accusato di approfittare della sua posizione per controllare l’esito delle elezioni, è candidato per un terzo mandato, il secondo consecutivo, alle prossime elezioni presidenziali.

Il voto, inizialmente previsto per il 9 novembre, è stato spostato al 16 dalla Corte costituzionale che non ha fornito spiegazioni per la decisione.

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