Il traffico di esseri umani è una delle più vergognose forme di crimine compiute da un individuo ai danni di un altro. È un crimine assai diffuso in ogni parte del mondo e rischia di peggiorare in questa fase di recessione economica dovuta alla pandemia.
Lo sottolinea il Rapporto globale 2020 dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc) che riguarda 148 paesi (periodo 2016-2019) e fornisce una panoramica dei modelli dei flussi della tratta di esseri umani.
Un quadro globale e regionale che insiste anche su un aspetto specifico: lo stato di debolezza sociale e materiale delle persone prese di mira dai trafficanti. Si tratta perlopiù di persone in stato di povertà, minori che vivono in famiglie problematiche, migranti senza documenti e senza una rete di supporto familiare, individui con disturbi mentali che non possono difendersi.
E sono soprattutto le donne ad essere prese di mira dai trafficanti. Nel 2018 su 10 persone trafficate, circa 5 erano donne adulte e 2 erano ragazze giovani (46%). Mentre un terzo erano bambini e bambine (nel complesso il 34%) e il 20% uomini. Lavoro forzato (46% sul totale globale), sfruttamento sessuale (soprattutto nei paesi ad alto reddito), l’uso dei bambini per chiedere l’elemosina ai passanti e l’inserimento in attività criminali come il commercio di droga, sono i principali “settori” a cui vengono destinate le persone trafficate.
E c’è anche una differenza di fasce di età che si lega al reddito del paese. In quelli a medio e alto reddito i minori costituiscono una percentuale assai inferiore rispetto agli adulti, al contrario nei paesi a basso reddito (o in via di sviluppo) la percentuale dei bambini trafficati è del 50%. Per essere più chiari: a livello globale, una vittima su tre è un bambino, ma nei paesi a basso reddito, i bambini rappresentano la metà delle vittime, la maggior parte di loro trafficate per lavori forzati. In particolare, nell’Africa sub-sahariana i bambini trafficati sono occupati in piantagioni, miniere, cave di estrazione, venditori nei mercati o nelle strade.
Identikit dei criminali
Ma chi sono questi individui che sfruttano altri esseri umani e se ne arricchiscono? In primis ci sono vere e proprie imprese criminali che – usando termini brutali – coprono il 57% della tratta. Il 18% è invece coperto da gruppi locali che agiscono puntando sulla violenza e sulla paura che generano nella comunità; ci sono poi gruppi di due o tre persone che si mettono insieme in modo estemporaneo per gestire singole operazioni e trattative (14% degli individui trafficati).
Infine ci sono individui singoli che spesso approfittano della fiducia della persona – fidanzata, nipote, amico – per “venderla” e sfruttarla (11%). La maggioranza dei trafficanti – dato elaborato sulla base degli arresti e delle investigazioni – è di sesso maschile (60%), mentre il 36% sono donne. Il guadagno dipende dalle aree geografiche e dal settore di sfruttamento delle vittime.
I trafficanti “di lusso” sono negli Stati Uniti, dove una trattativa può andare da poche migliaia a 100mila dollari. Nell’Europa centrale e dell’Est un trafficante guadagna da 1.500 a 2mila dollari per ogni persona reclutata. Nel Sud Est asiatico per una donna costretta ad un matrimonio forzato il trafficante può guadagnare fino a 3mila dollari. Insomma, persone trattate come oggetti da vendere al migliore offerente.
In molti casi i trafficanti di professione si affidano e lavorano con vere e proprie agenzie che si occupano del reclutamento di personale per lavoro all’estero. Agenzie che si preoccupano dei documenti, del viaggio e dell’“inserimento lavorativo” di persone che invece presto si troveranno prigioniere e vittime di abusi. E spesso in cambio del lavoro promesso viene loro richiesto un pagamento di 11 mesi di salario. Come accade a molte donne reclutate da paesi dell’Africa orientale per i lavori domestici nelle case di benestanti uomini d’affari nei paesi del Golfo Persico.
Trafficanti 2.0
L’uso della tecnologia, già da tempo, ha affinato le modalità in cui si sviluppa la rete criminale impegnata nel traffico di esseri umani. Internet – sottolinea il Rapporto dell’agenzia delle Nazioni Unite – permette di operare su molteplici canali (e luoghi) simultaneamente, stando seduti a tavolino.
Il primo caso di traffico online rilevato dall’Unodc risale ai primi anni del 2000. Era una pagina web utilizzata per connettere “compratori” con agenti locali. Poi sono venuti i social e gli smartphone che hanno amplificato il problema. In cima agli affari con l’uso della tecnologia c’è lo sfruttamento sessuale ma anche la coercizione delle vittime nei lavori forzati, in reti criminali e nella vendita degli organi.
È la tecnica definita hunting and fishing e prevede saper aspettare che i bisogni delle persone diventino così urgenti da non avere più scelta. Una semplice pubblicità, un semplice annuncio, possono rivelarsi fatali per persone fragili che hanno perso il lavoro, che hanno una famiglia da mandare avanti, che non hanno accesso a sistemi di protezione sociale. Si tratta di persone vulnerabili e in una condizione di emarginazione da cui non sembra esserci via di uscita.
Ad influire sui fattori personali sono anche le condizioni macro economiche ed ecco perché gli analisti prevedono un peggioramento e un alto grado di aumento del rischio se la recessione non sarà affrontata con misure strutturali che vadano a coprire soprattutto le categorie e i territori maggiormente svantaggiati.
Tratta e sfruttamento in Africa
Per quanto riguarda l’Africa, nei paesi del Nord del continente i maggiori casi di sfruttamento e di traffico riguardano il lavoro forzato, lo sfruttamento sessuale e l’uso di bambini per elemosinare nelle strade. Solo l’1% riguarda la rimozione di organi e il 2% l’inserimento della persona trafficata in attività criminali. Il 60% delle persone trafficate verso il Nord Africa arriva da paesi dell’Africa occidentale e orientale.
Nell’Africa sub-sahariana la maggior parte delle vittime di tratta viene costretta a forme di lavoro forzato. La maggior parte rimane nel suo paese di origine o viene trafficata in paesi confinanti, ma le investigazioni degli anni a cui si riferisce il report hanno permesso di individuare persone trafficate dai paesi sub-sahariani in Nord America, in Asia orientale e – come già sottolineato – in paesi del Golfo Persico. Il 60% delle vittime continuano ad essere bambini.
Dal 2003 è in vigore un Protocollo delle Nazioni Unite per prevenire, sopprimere e punire i trafficanti di esseri umani. A livello globale – informa il report – il numero delle persone portate davanti ad una Corte di giustizia per tale crimine è triplicato ma la recessione e l’isolamento causati dalla pandemia rischiano di ribaltare questo risultato e gli sforzi compiuti in questi anni.
Oltretutto, non va dimenticato che cifre e dati a disposizione rappresentano spesso una fetta della realtà. Rimane la parte nascosta dell’iceberg che potrebbe essere più massiccia di quella finora emersa.