Trump-Harris verso la Casa Bianca, cosa cambierà per l’Africa?
Economia Politica e Società Stati Uniti
Chi siederà nello Studio Ovale dovrà confrontarsi con un continente lasciato negli anni agli ultimi posti dell’agenda estera degli USA
Trump-Harris verso la Casa Bianca, cosa cambierà per l’Africa?
A tre settimane dal voto negli Stati Uniti, i candidati dimenticano di affrontare i dossier africani. Previsione di cosa potrebbe accadere in caso di elezione dell’uno o dell’altra
14 Ottobre 2024
Articolo di Rocco Bellantone
Tempo di lettura 8 minuti
Kamala Harris e Donald Trump (Credit: https://creativecommons.org/CC BY 4.0)

L’uragano Milton che si è abbattuto sulla Florida ha imposto al presidente degli Stati Uniti Joe Biden di non lasciare il paese e posticipare i viaggi che aveva in programma di fare in Germania e Angola. Per cause di forza maggiore salta dunque, almeno per ora, la prima visita in Africa del capo della Casa Bianca.

Il rinvio, seppur indirettamente, confina ancora di più il continente in una zona d’ombra nella campagna elettorale tra Donald Trump e Kamala Harris, come da tradizione più concentrata sulle questioni interne agli Stati Uniti (dall’economia all’immigrazione, dalla sicurezza nazionale alle armi all’aborto) e assai meno sulle scelte che chi vincerà sarà chiamato a prendere in politica estera, campo in cui hanno priorità il fronte mediorientale e quello russo-ucraino.

In linea di massima, questo approccio rispetto all’Africa ricalca una visione, oggi del tutto anacronistica, che guarda all’Africa come a una delle estreme periferie del pianeta. Una periferia che, in quanto tale, poco ha a che fare e poco deve interessare un paese come gli Stati Uniti, chiamato per natura a stare invece al centro delle dinamiche globali.

Eppure è per questo continente che passano le sfide dei nostri tempi e di quelli che verranno, dal boom demografico, con conseguenti nuove pressioni migratorie, agli effetti della crisi climatica.

Ma né Trump né Harris appaiono interessati a prestarvi particolare attenzione, consapevoli che le elezioni americane si giocano sulle scelte che si promettono di fare agli elettori in politica interna, a cominciare da quelle in campo economico. Ma andiamo per ordine. 

Cosa aspettarsi da un nuovo mandato di Trump

Se dopo il voto del 5 novembre ad aggiudicarsi la corsa alla Casa Bianca dovesse essere il candidato dei repubblicani Donald Trump, nella conduzione delle relazioni tra USA e Africa si assisterebbe verosimilmente a un remake di quanto il tycoon newyorchese ha fatto nel suo primo mandato (2017-2021).

Un mandato che, riassunto in estrema sintesi, rispetto ai rapporti con l’Africa si tradurrebbe nel proseguimento della graduale dismissione diplomatica e militare degli Stati Uniti dal continente.

In realtà, questo approccio “rinunciatario” alle questioni africane non è stato fatto proprio solo da Trump ma ha riguardato, seppur con i dovuti distinguo, molti altri suoi predecessori che nei rapporti con il continente hanno lasciato un’impronta “di firma”, siglando programmi rivolti all’Africa – come se fosse un’unica realtà con cui confrontarsi – dalle alterne fortune.

Nel 2000 Bill Clinton ha introdotto l’African Growth Opportunities Act (AGOA) mirato a facilitare le esportazioni africane negli Stati Uniti per sostenere lo sviluppo del continente, strumento che però oggi a distanza di quasi venticinque anni chiede di essere quantomeno rivisto.

Il programma d’emergenza contro l’AIDS (Pepfar) del 2003 lanciato da George W. Bush ha portato da allora a un’estensione dell’accesso alla terapia antiretrovirale per milioni di africani. Da allora le sfide sanitarie per l’Africa sono cambiate (i vaccini contro il Covid arrivati in ritardo o mai arrivati ne sono solo un esempio) e anche su questo fronte gli USA sono chiamati a fare di più.

Anche Trump, con il suo Prosper Africa, ha proposto un piano per incrementare i legami commerciali e gli investimenti verso il continente, mirato – almeno sulla carta – oltre che ad agevolare gli affari delle compagnie private statunitensi (come quelle dell’oil & gas) anche a stimolare la crescita delle economie africane.

È un programma di cui, però, si sono perse abbastanza velocemente le tracce, con l’ex presidente di fatto più impegnato ad alleggerire il paese dalle zavorre “lasciate” in eredità dall’amministrazione Obama (dall’intervento militare in Libia per far cadere Gheddafi agli aiuti economici e militari garantiti all’Egitto del dopo Mubarak, passando per il peso delle operazioni militari coordinate dal comando AFRICOM nel continente).

Se da un lato a Trump andrebbe dato atto del realismo mostrato nell’abbandonare presto il tentativo di arginare l’influenza cinese nel continente, l’ex presidente non ha mostrato lo stesso pragmatismo rispetto all’urgenza di guardare all’Africa come a quel continente che è necessario sostenere per fermare gli effetti sempre più dirompenti del cambiamento climatico, che anche negli USA mietono distruzioni e vittime.

Fedele al suo approccio negazionista alla questione, nel suo mandato Trump ha sprecato l’occasione di poter offrire un aiuto concreto al continente e al pianeta.

Cosa aspettarsi dall’elezione di Kamala Harris

E veniamo a Kamala Harris. A differenza del suo superiore alla Casa Bianca, il presidente Biden, nei rapporti con l’Africa Harris può spendere a suo favore il fatto di aver compiuto un viaggio nel continente visitando nel marzo 2023 Ghana, Tanzania e Zambia.

Qualora dovesse essere eletta, a differenza di Trump le aspettative su di lei rispetto a una possibile evoluzione dei rapporti tra USA e Africa sarebbero nettamente superiori.

Nel suo tour in Africa Harris ha riconosciuto al continente un ruolo centrale nel futuro del pianeta, elogiandone la gioventù e gli esperimenti (pochi) di democrazia riuscita, ricordando il successo di iniziative come M-Pesa lanciato in Kenya (il portafoglio elettronico che adotta come supporto il telefono cellulare per il trasferimento di denaro fra gli utenti) e i droni usati per consegnare medicine in Rwanda, e promettendo nuovi fondi per lo sviluppo delle infrastrutture digitali (100 milioni di dollari) e l’energia pulita (500 milioni) in Africa occidentale.

Fondi, quest’ultimi, chiaramente non paragonabili a quelli investiti dalla Cina per la costruzione di strade, porti, impianti energetici e città, testimoni più di una retorica “per l’Africa e con l’Africa” che di un reale tentativo di voler competere con Pechino per l’egemonia sul continente.

“In ogni caso, se Kamala Harris venisse eletta presidente degli Stati Uniti, dovremmo aspettarci un cambio di tono», scrive in un editoriale pubblicato su Jeune Afrique Aurélie M’Bida. «Nel suo discorso in Ghana, ha sottolineato che gli investimenti americani non mirano a ‘sfruttare’ le risorse del continente ma a creare opportunità per gli stessi africani. Parole forti, che contrastano con la storia dei rapporti, spesso sbilanciati, tra Africa e Occidente».

Come vengono percepiti Harris e Trump

In un certo senso, segnalano in un interessante confronto pubblicato su Council on foreign relations Michelle Gavin ed Ebenezer Obadare, Harris è chiamata a fare i conti con il paragone ingombrante che viene fatto tra lei e Obama guardando ai rapporti tra Stati Uniti e Africa.

Quando venne eletto per la prima volta nel 2008, in Obama l’Africa ripose molte aspettative, perché era il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti e per le sue origini kenyane. Questo aspetto si è però rivelato spesso un’arma a doppio taglio per l’ex presidente americano, percepito in patria come “troppo impegnato” in Africa.

E questa è una percezione che Harris deve tenere a debita distanza da sé, consapevole come detto del fatto che agli americani interessano quasi esclusivamente le scelte che il nuovo presidente farà in politica interna. 

Restando nel campo delle percezioni, segnalano sempre Gavin e Obadare su Council on foreign relations, “se c’è un elettorato in cui il sostegno al presidente Trump è rimasto solido e incrollabile, è tra i pentecostali africani… Trump è percepito come un grande sostenitore della causa cristiana negli Stati Uniti e, di conseguenza, della causa cristiana evangelica in Africa”.

In proposito, gli analisti ricordano un incontro tra Trump e l’ex presidente nigeriano Buhari (musulmano) nel 2018, quando l’allora capo della Casa Bianca riferendosi agli attacchi del gruppo jihadista Boko Haram gli lanciò una provocazione che fece colpo nell’opinione pubblica nigeriana e non solo: «Perché non proteggi i miei fratelli e sorelle africani?».

In generale, chi dal gennaio 2025 siederà alla Casa Bianca sarà chiamato a confrontarsi con un continente lasciato negli anni agli ultimi posti dell’agenda di politica estera degli Stati Uniti. Biden ha fatto qualcosa in tal senso sul finale del suo mandato.

La sua amministrazione ha prima dichiarato l’intenzione di designare il Kenya come il primo grande alleato non-NATO nell’Africa subsahariana, e poi ha sostenuto la proposta di creare due seggi permanenti per l’Africa in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Se la sfida per le sfere di influenza nel continente è comunque destinata a rimanere nettamente sbilanciata a favore della Cina, con la Russia che per la sua fragilità economica potrà limitarsi a mantenere ciò che già controlla attraverso l’uso di contractor e propaganda, ciò non toglie che gli Stati Uniti, in qualità di più grande potenza democratica del pianeta, dovranno necessariamente occuparsi di più dell’Africa.

Di fronte al continente più giovane del pianeta, con una popolazione in costante crescita, costretto in prima linea nel reggere agli effetti del cambiamento climatico, voltandosi dall’altra parte, o limitandosi a portare avanti una graduale dismissione al netto delle ultime aperture manifestate dall’amministrazione Biden, gli USA farebbero il gioco dei loro principali sfidanti.

Continuando a perdere influenza in tutto il pianeta, nel breve e nel lungo periodo.  

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