Annunciate ieri sera con uno scarno comunicato, le elezioni presidenziali in Tunisia si terranno il prossimo 6 ottobre. Il presidente Kais Saied non specifica se intende candidarsi o meno, ma da tempo tutte le sue mosse lasciano chiaramente intendere che si prepara ad una rielezione plebiscitaria.
Kais Saied era stato eletto il 13 ottobre di cinque anni fa e aveva costituito la sorpresa del panorama politico del Paese. Costituzionalista, con precedenti esperienze di governo, si era presentato come indipendente, senza alcun apparentamento con un partito, in un panorama dominato ancora dalla formazione islamista di Ennahda che aveva ottenuto, la settimana prima, la maggioranza relativa dell’Assemblea nazionale. È contro questo partito in particolare e contro il sistema dei partiti in generale che Kais Saied ha da allora orientato la sua strategia. I passaggi fondamentali sono stati la sospensione del parlamento nel luglio 2021, la successiva proclamazione dello stato di eccezione, il varo di una nuova Costituzione col referendum del luglio 2022 che prevede un nuovo sistema di rappresentanza del tutto depotenziato rispetto alle tradizionali prerogative parlamentari, le elezioni legislative nel gennaio 2023.
Avversari in carcere
È in questo nuovo contesto istituzionale, che ha radicalmente trasformato il quadro politico della Tunisia, che il presidente si è mosso per consolidare il proprio potere esclusivo. Ed è in questa stessa cornice che si andrà al voto fra tre mesi, lungo vie ormai ben tracciate e consolidate. Sul piano più propriamente politico la priorità è stata quella della persecuzione contro gli avversari, a cominciare dal suo rivale nel ballottaggio del 2019, Nabil Karoui, magnate di Nessma TV, e soprattutto di Rachid Ghannouchi il leader di Ennahda , imprigionato nell’aprile dello scorso anno all’età di 81 anni.
Sul piano politico-istituzionale Saied accentra i poteri essenziali ma si serve del governo come schermo. Da qui l’avvicendamento dei primi ministri, quattro in cinque anni, tra cui Najla Bouden la prima donna ad assumere questa carica (ottobre 2021-agosto 2023) in Tunisia e nel mondo arabo, e dei ministri, l’ultimo, dieci giorni fa, il ministro degli Affari religiosi Brahim Chaibi dopo la strage di pellegrini alla Mecca, dovuta al caldo. È quindi largamente protetto da questo scudo che il presidente fa fronte a una situazione socio-economica particolarmente difficile: una crescita economica dello 0,2% nel primo trimestre di quest’anno, inflazione al 7,2%, la disoccupazione al 16,2% (22% quella femminile). Non basterà una stagione turistica partita sotto i migliori auspici per ridare fiato all’economi tunisina.
E la società civile, anche…
Per impedire che il malcontento si diffonda, il presidente ha portato avanti una campagna sistematica contro la libertà di informazione, con arresto di giornalisti, e più in generale contro i diritti e le libertà. Nel mirino sono finiti i magistrati, gli avvocati, le organizzazioni della società civile, un tempo un’eccezione nel contesto maghrebino, tanto da conquistare il Nobel per la Pace nel 2015.
Infine soprattutto a partire dall’inizio dello scorso anno l’individuazione dello straniero migrante come nemico, attraverso parole d’odio, lo sgombero dalle periferie delle città e le espulsioni dei migranti sub-sahariani. E non sembri paradossale che in Tunisia si guarda ora con una certa apprensione al 7 luglio e all’esito dei ballottaggi in Francia per l’elezione dell’assemblea nazionale dopo l’esplosione dell’estrema destra, per la sorte degli stranieri in Francia.