La Tunisia sta vivendo una crisi del pane. L’ennesima. Quella più sanguinosa risale al 1983-1984 quando i moti di piazza furono repressi con 150 morti.
Cos’è successo in queste settimane? Da giorni ci sono lunghe fila fuori dai panifici locali, con molte persone che se ne vanno senza la loro baguette. Pane sempre più raro a causa della penuria di farina.
La ragione di tutto ciò è che il governo – tra la guerra in Ucraìna, la siccità e, soprattutto, la crisi economica – si trova in difficoltà a pagare i fornitori di cereali. Perché nel paese nordafricano, come accade in altri paesi dell’area, è lo stato a detenere il monopolio sulla farina, che acquista per lo più sul mercato internazionale e poi distribuisce a panetterie e forni.
Monopolio che deriva dal fatto che in un’economia costruita sui bassi salari (quello minimo è di 480 dinari, pari a 140 euro), lo stato sin dagli anni ‘70 ha centralizzato fin dagli anni ‘70 gli acquisti per reimmetterli sul mercato a prezzi bassi.
Ma essendo la Tunisia un paese fortemente indebitato (80% del Pil), è oggi a corto di liquidità e i fornitori, invece, vogliono essere pagati in anticipo.
Il che costringe Tunisi a spalmare le sue forniture. Secondo il quotidiano Echaab News, legato alla centrale sindacale Ugtt, 8 navi cariche di cereali attendono da due settimane nella baia di Sfax che il loro contenuto sia pagato per essere scaricato.
I responsabili per Saied
Questa è la sostanza. Ma il racconto e le scelte assunte dal presidente Kais Saied vanno in un’altra direzione. A suo avviso, i responsabili del caos sono altri.
Innanzitutto: il 14 agosto Saied ha rimosso senza spiegazioni Béchir Kthiri, presidente dell’Ufficio dei cereali, ente statale che gestisce le gare di appalto per l’approvvigionamento di grano e orzo.
Poi ieri è stato arrestato Mohamed Bouanane, presidente del sindacato dei panifici convenzionati dell’Utica (Confindustria locale) «per sospetto monopolio e speculazione con generi alimentari sovvenzionati e sospetto riciclaggio di denaro».
In precedenza Saied se l’era presa con l’Associazione dei panifici moderni appartenenti alla Confederazione delle imprese cittadine della Tunisia (Conect).
Stoppiamo un attimo il racconto per una premessa, perché la situazione è complessa.
Il doppio circuito delle panetterie
Esistono nel paese due circuiti per la panificazione: del primo fanno parte 3.737 panetterie che beneficiano di farina sovvenzionata fornita dallo stato e dove la baguette costa 190 millesimi di dinaro tunisino, corrispondente a circa 7 centesimi di euro.
Accanto a queste panetterie sovvenzionate sono nate nel 2011 le panetterie “moderne” (oggi circa 1.500-2mila) che comprano una farina definita “speciale”, parzialmente sovvenzionata, e tre volte più cara: i loro prodotti non hanno prezzi fissati rigidamente dallo stato, sono più vari (pane senza sale, pane integrale) e comprendono anche dolci, torte, gastronomia.
I due diversi tipi di panetteria fanno riferimento a sindacati e associazioni di categoria differenti. Questo secondo circuito dall’inizio di questo mese ha perso il diritto a una quota limitata di farina sovvenzionata.
Pane per ricchi e pane per poveri
Infatti, il 27 luglio il presidente Saied ha annunciato l’interruzione dell’approvvigionamento di farine sovvenzionate ai panifici moderni o “non classificati”, accusati di mescolare queste ultime ai loro impasti per poi produrre dolci e vari tipi di pane, oltre alla baguette popolare, ottenendo così più margini sulle vendite. «In Tunisia accade così che c’è un pane per i ricchi e uno per i poveri», il pensiero espresso dal presidente.
Una scelta che ha portato il 90% dei panifici moderni a chiudere causando la disoccupazione di oltre 20mila dipendenti, secondo il loro sindacato.
Che ha annunciato la ripresa dei sit-in di protesta, programmati ma poi sospesi lo scorso 8 agosto, con una manifestazione lunedì 21 agosto davanti alla sede del ministero del Commercio della capitale.
In tutto questo la vittima è sempre il cittadino. La “crisi del pane”, infatti, colpisce pesantemente i tunisini che già sono stanchi dell’aumento dell’inflazione e della povertà, che ora colpisce circa il 20% dei 12 milioni di abitanti del paese.