La terza missione in un mese di Meloni a Cartagine è stata un vero blitz. Arrivata ieri pomeriggio – accompagnata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e dal primo ministro olandese Mark Rutte – ha assistito alla firma del Memorandum d’intesa di cooperazione con il presidente tunisino Kais Saied e ha ripreso l’aereo per Roma.
Cinque i punti dell’accordo. Ma di fatto la missione aveva un solo scopo: finanziare il presidente tunisino affinchè blocchi le partenze dei migranti.
I dettagli del memorandum non sono stati, al momento, forniti ufficialmente. Ma da settimane gira una versione che delinea le diverse linee di credito aperte a Saied: 150 milioni di euro a fondo perduto per alimentare gli investimenti nel paese; 100 milioni per il rafforzamento dei fronti terrestri e marittimi; 900 milioni in forma di prestiti agevolati e legati a un altro prestito internazionale da 1,9 miliardi di dollari con il Fondo monetario internazionale. Il tutto senza citare mai le violenze e l’assenza di diritti che il regime tunisino applica ai suoi oppositori e ai migranti.
Politica antimigranti
Così, le autorità tunisine hanno ceduto alla tentazione di una politica apertamente antimigranti. Dal 5 luglio stiamo assistendo a quella che alcune ong per i diritti umani considerano una «deportazione» o almeno un «respingimento forzato» di diverse centinaia, forse migliaia, di migranti irregolari verso le frontiere tunisino-libiche, nonché verso quelle con l’Algeria.
Diversi convogli di autobus carichi di migranti subsahariani, sotto la sorveglianza di polizia e militari, sono stati visti sulla strada che conduce alla zona desertica che separa la Tunisia dalla Libia.
Associazioni e residenti dei villaggi di confine hanno segnalato sui social network la presenza, vicino al confine con l’Algeria, di gruppi di subsahariani che sostengono di essere stati portati lì dalle autorità tunisine.
Queste nuove misure fanno seguito ai violenti scontri avvenuti all’inizio del mese tra gruppi di migranti e gente del posto, nella città di Sfax. La morte di un giovane tunisino durante questi scontri ha scatenato una valanga di atti di vendetta razzista e di espulsioni contro gli africani subsahariani, con l’indifferenza e talvolta la complicità della polizia.
Sfax: una città in difficoltà in un paese alla deriva
La città di Sfax, capitale economica del paese, situata a 270 km a sud di Tunisi, conta più di 340mila abitanti. Da mesi vive in una sorta di vuoto amministrativo dopo la destituzione del governatore regionale e lo scioglimento del consiglio comunale. Oltre ai problemi di inquinamento, disoccupazione e deterioramento dei servizi pubblici e sociali, sono sorte nuove tensioni dovute alla forte presenza di una comunità subsahariana alla ricerca di un passaggio clandestino verso l’ “Eldorado” europeo.
Sfax, situata a 100 miglia nautiche (200 km circa) da Lampedusa, è infatti un punto ideale per la partenza delle imbarcazioni di migranti, soprattutto durante la stagione estiva, quando le condizioni meteorologiche migliorano.
Dal punto di vista economico, gli abitanti di Sfax condividono le stesse difficoltà dei loro concittadini in altre città e regioni della Tunisia. Da diversi mesi, infatti, devono fare i conti con la carenza di generi alimentari e di beni di prima necessità come farina, zucchero, caffè, benzina, olio e così via. Di conseguenza, i tunisini si stanno abituando a lunghe code fuori dalle panetterie e dai negozi di alimentari.
Questa carenza, che ha inevitabilmente provocato un’impennata dei prezzi, è dovuta essenzialmente al fatto che le casse dello stato sono vuote.
La negoziazione con il Fmi
Da due anni la Tunisia sta negoziando senza successo un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), a lungo rimandato. Secondo gli analisti, questo accordo è fondamentale, in primo luogo per colmare parte del deficit di bilancio dello stato. Ma, soprattutto, per consentire alla Tunisia di accedere ad altri finanziamenti bilaterali, nella speranza di rilanciare un’economia gravemente danneggiata dalla crisi del Covid, nel 2020.
Questa crisi socio-economica, durata anni, è stata ulteriormente aggravata dalla crisi politica innescata nel 2021 su iniziativa dell’attuale presidente.
Colpo di stato
Il 25 luglio 2021, il presidente Kais Saied ha effettuato quello che i media tunisini hanno definito un «colpo di stato costituzionale» in violazione della Carta fondamentale del 2014.
Saied – professore di diritto ed eletto con ampi consensi nel 2019 con un risultato storico – ha deciso di impadronirsi di tutti i poteri e di far fallire la transizione democratica avviata dopo la rivoluzione del 2011.
Ha finito per reinstallare un regime presidenzialista con una nuova Costituzione che ha scritto da solo. Di conseguenza, i principali oppositori politici del governo, così come i giornalisti ed esponenti della società civile, sono ora dietro le sbarre con l’accusa di «complotto contro la sicurezza dello stato». Tutti i tentativi di avviare una sorta di dibattito nazionale per calmare la situazione politica sono stati respinti dal presidente.
Di conseguenza, i migranti subsahariani si sono trovati coinvolti in una crisi dalle mille sfaccettature. Sono diventati rapidamente il bersaglio di un discorso razzista ripreso dallo stesso presidente, che nei suoi discorsi ripete che la Tunisia è «vittima di un tentativo di cambiare la sua composizione demografica, che mira a sostituire l’identità arabo-musulmana con una nuova identità africana nera».