«Non ci aspettiamo nulla da questo parlamento». Da Tunisi, Aymen Bessalah, analista per il Tahrir Institute for Middle East Policy, commenta il record negativo di affluenza registrato al secondo turno delle elezioni legislative, che si è svolto domenica scorsa, 29 gennaio, in Tunisia. Hanno votato l’11,4% degli aventi diritto pari a circa 880mila persone, duecentomila in più rispetto a quelle che avevano partecipato al primo turno del 17 dicembre. Tra gli elettori di domenica, il 32% erano donne e meno del 5% giovani con meno di 35 anni: un dato particolarmente significativo in un paese dove l’età media è di poco superiore a trent’anni (32,70 nel 2021).
Il nuovo parlamento sarà, inoltre, quello con la più bassa presenza femminile mai registrata dal 2009, con solo il 16% delle parlamentari donne contro il 31% del 2014 e il 26% del 2019.
L’affluenza eccezionalmente bassa di domenica è da addebitare, secondo Bessalah, a quanti credono che la nuova assemblea dei rappresentanti del popolo non avrà alcun potere.
Questi, osserva lo studioso, si sono aggiunti a coloro che hanno seguito l’invito al boicottaggio chiesto dalla maggioranza dei partiti e all’astensionismo più consolidato di chi non ha votato neanche alle precedenti consultazioni.
Un presidente che ha svuotato il parlamento
Se l’attenzione intorno al voto di domenica è stata bassa, tanto che lo stesso presidente Kais Saied ha dichiarato apertamente che il 90% dei tunisini «non sono andati a votare perché per loro il parlamento non significa niente», non sono mancati tentativi di spingere i cittadini al voto, da alcuni denunciati come abusivi. Nelle scorse settimane, l’Isie, l’istituzione preposta all’organizzazione delle elezioni, ha inviato messaggi a tutti i tunisini (e anche ai giornalisti stranieri) per invitarli a votare e informarsi sui candidati.
Inoltre, l’ong Mourakiboun, specializzata nel monitoraggio dei processi elettorali, ha denunciato come a diversi giornalisti e osservatori indipendenti sia stato negato, in molte circoscrizioni elettorali, l’accesso ai dati sull’affluenza.
Che la nuova assemblea parlamentare avrà un ruolo limitato è già un dato di fatto: dal 16 agosto 2022, infatti, la riforma costituzionale ha fortemente ridimensionato i suoi poteri. Di ieri, inoltre, è l’annuncio del presidente della repubblica, Kais Saied, di voler prolungare lo stato d’emergenza fino al termine del 2023. Questa decisione rinnova i poteri straordinari del ministero dell’interno riguardo al controllo di media e attività culturali e al divieto di riunioni e assembramenti, con evidenti ulteriori conseguenze per le libertà politiche nel paese.
Saied e quelle promesse tradite
Una decisione, quella annunciata ieri da Saied, che s’inserisce in un clima generale di malcontento crescente dovuto soprattutto alle difficoltà economiche che la Tunisia attraversa negli ultimi anni. Eletto con ampio consenso nel 2019 anche sulla base della promessa di trovare soluzioni economiche alternative ai prestiti del Fondo monetario internazionale, il presidente e il suo governo non hanno saputo per ora far fronte alla crisi se non attraverso la medesima ricetta.
Per ottenere lo sblocco del prestito da quasi due miliardi di dollari che dovrà servire a finanziare il budget per il 2023, Saied e il suo esecutivo dovranno attuare pesanti politiche di taglio alla spesa pubblica. A preoccupare maggiormente i tunisini è il probabile taglio dei sussidi per il pane e per il carburante, oltre a possibili riduzioni della spesa sanitaria, educativa, sociale e alla privatizzazione di aziende pubbliche strategiche.
Escalation delle proteste
Alcuni osservatori prevedono un aumento delle proteste: le manifestazioni del 14 gennaio scorso, anniversario della caduta del regime di Zine El-Abidine Ben Ali, sono state in effetti più partecipate rispetto a quelle degli ultimi anni e hanno intonato slogan contro il presidente della Repubblica.
Da allora, tuttavia, le strade di Tunisi sono immerse in una calma apparente.
Se il quadro sembra poco incoraggiante, secondo Bessalah, non tutto è perduto: «I passi indietro fanno parte di qualsiasi transizione democratica e la Tunisia non fa eccezione».