I negoziati tra il Fondo monetario internazionale (Fmi) e il governo della Tunisia sono finiti nel mirino dell’Unione generale tunisina del lavoro (Ugtt), la maggiore organizzazione sindacale del paese nordafricano che sta affrontando una grave crisi economica.
In corso da ottobre, i negoziati ruotano attorno a un credito di 2 miliardi di dollari che l’Fmi si è già detto disponibile a concedere se il governo tunisino avvia un piano di ristrutturazione di un centinaio di imprese pubbliche pesantemente indebitate e se vengono tolte le sovvenzioni su alcuni prodotti di base.
Ma Kais Saiedm, il presidente autoritario che si considera il salvatore della patria, non ha preso ancora un impegno preciso. E il sindacato è sceso in piazza a Sfax, seconda città del paese, per ribadire che si oppone a qualsiasi cessione di imprese pubbliche e alla cancellazione delle sovvenzioni. E Noureddine Taboubi, leader dell’Ugtt, ha sottolineato che bene fa il presidente a non cedere ai «diktat» dell’Fmi.
Secondo Taboubi, le misure prefigurate dall’Fmi «andranno a impoverire ancora di più il popolo tunisino» che sta facendo i conti con un’inflazione di più del 10% e con un tasso di disoccupazione superiore al 15%.
Il sindacato ha anche stigmatizzato le posizioni della prima ministra Najla Bouden, che starebbe negoziando «segretamente» con l’Fmi un programma draconiano di tagli e ristrutturazioni.
Nel corso del suo intervento a Sfax, il leader sindacale ha chiesto al governo di liberare i numerosi sindacalisti arrestati nelle ultime settimane e denunciato che nel governo Saied ci sono alcuni ministri che si oppongono al movimento sindacale.