In Tunisia vivono attualmente 57mila persone di varie nazionalità dell’Africa subsahariana. Quasi un terzo di loro sono ivoriane. Settemila sono arrivate qui per studiare nelle università locali. Mentre molte altre sono nel paese per lavorare. A volte con lo scopo di guadagnare una somma sufficiente per attraversare il Mediterraneo, sempre più spesso, tuttavia, con la prospettiva di rimanere a lungo nel paese, vista la difficoltà di accesso all’Europa,
I dati, provenienti da studi delle Nazioni Unite e dell’Osservatorio tunisino sulle migrazioni, sono stati sottolineati durante un incontro intitolato Subsahariani in Tunisia: transito o capolinea? che si è tenuto il 25 novembre a Tunisi, nella sede della rivista Nawaat.
Una nuova manodopera di sostituzione
Similmente a quanto già accaduto in Europa, gli immigrati provenienti da sud stanno iniziando a sostituire i tunisini in alcune professioni usuranti: operai edili, braccianti agricoli, camerieri, colf. Per queste ultime la situazione è particolarmente drammatica, ha sottolineato Wafa Dhaouadi del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa): «Spesso le collaboratrici domestiche sono impiegate attraverso sistemi di tratta. In base a un pregiudizio razziale si ritiene che le donne – ivoriane, ad esempio – siano capaci di svolgere una mole di lavoro superiore rispetto alle tunisine».
«Intere imprese tunisine sarebbero ferme senza la manodopera proveniente da sud», ha aggiunto Sherifa Riahi, dell’antenna locale dell’ong Terre d’asile. Tuttavia, per questi lavoratori regolarizzare la propria posizione è estremamente difficile. Stando ai dati raccolti da Nawaat, su diverse decine di migliaia di subsahariani impiegati nel paese, quelli che riescono a essere regolarizzati su base annua sono meno di 200. Per l’ong FTDES (Forum tunisino per i diritti economici e sociali), la Tunisia dovrebbe dotarsi di una nuova legge sull’immigrazione, in sostituzione di quella in vigore dal 1968.
«Le persone di origine subsahariana che vivono qui, sono di solito impiegate in settori precari e abitano in quartieri difficili, e con il tempo i loro vicini di casa tunisini hanno iniziato a chiedersi perché certi stranieri fossero riusciti ad accedere al lavoro prima di loro», ha osservato Mahmoud Kaba, dell’ong Euromed Rights, durante l’incontro.
Più visibili, ma più discriminati
Il fenomeno dell’immigrazione da paesi dell’area subsahariana è entrato nel discorso pubblico tunisino solo da pochi anni, con l’arrivo dei flussi dalla Libia dopo il 2011. «In un primo momento la presenza subsahariana non era molto visibile e suscitava tutt’al più reazioni di curiosità», ha dichiarato ancora Kaba.
Oggi, però, il razzismo preoccupa e sembra essere un fenomeno ben noto all’opinione pubblica.
«Ora, tra la gente, si associano le persone di pelle nera a discendenti di schiavi, come illustrano gli epiteti abid (schiavo) e wasif (servitore) che sono spesso loro attribuiti», affermano gli studiosi del Centro arabo di ricerche e studi politici, che ha sede a Parigi. «Nell’immaginario collettivo tunisino, le persone di colore continuano a essere stigmatizzate, assimilate a classi sociali inferiori con un basso livello di istruzione».
Secondo una ricerca della Bbc arabofona, l’80% dei tunisini pensa che le discriminazioni razziali siano un problema nel proprio paese.
Malgrado quello tunisino sia stato, nel 2018, la prima nazione araba a dotarsi di una legge contro la discriminazione razziale, i fenomeni di razzismo sono ancora all’ordine del giorno.
L’immigrazione, una preoccupazione inedita per Tunisi
Problemi culturali – aggravati dalla crisi economica – e discriminazioni sistematiche si combinano con le politiche di chiusura delle frontiere messe in atto dall’Europa, che difficilmente concede accoglienza a chi proviene da paesi considerati “sicuri”.
«La Tunisia non vuole qualificarsi come paese sicuro e per questo non facilita le cose per i subsahariani» ha osservato ancora Riahi. Le ultime dichiarazioni del ministro degli esteri Othman Jerandi, diffuse a margine dell’incontro con l’ex viceministra agli esteri italiana Emanuela Claudia Del Re – in visita a Tunisi la scorsa settimana – sembrano andare verso una minore disponibilità dello stato tunisino ad accogliere il flusso migratorio proveniente da sud.
Jerandi, infatti, ha chiesto alle istituzioni europee e alle organizzazioni umanitarie un «nuovo approccio nel trattamento della migrazione irregolare», evocando le «ripercussioni negative» di quest’ultima sui paesi di transito e chiedendo di superare l’approccio securitario in favore del principio di solidarietà tra i paesi.