Tunisia: stop all'invio delle motovedette dall'Italia (per ora) - Nigrizia
Migrazioni Pace e Diritti Tunisia
La vittoria delle associazioni al Consiglio di Stato. Chiesta d'urgenza la sospensione cautelare del provvedimento
Tunisia: stop all’invio delle motovedette dall’Italia (per ora)
"La Tunisia non può essere considerata un paese sicuro", commenta l'avvocata e socia asgi Cristina Laura Cecchini. E il nuovo rapporto di Alarm Phone lo conferma
21 Giugno 2024
Articolo di Arianna Baldi
Tempo di lettura 5 minuti
Foto di Vito Manzari

Niente motovedette alla Tunisia. Per chi opera a vario titolo nell’ambito delle migrazioni, un piccolo faro di speranza si è acceso ieri, 20 giugno, mentre si celebrava la Giornata mondiale del rifugiato più cupa da qualche tempo a questa parte. 

Dopo un anno di naufragi, morti e un preoccupante, vertiginoso restringimento dei diritti delle persone migranti in tutta l’Unione Europea, è arrivata quasi inaspettata la notizia dell’esito positivo dell’istanza cautelare che chiedeva la sospensione dell’invio delle sei motovedette alla Garde Nationale tunisina da parte dell’Italia. 

Un gruppo di associazioni e Ong, composto da ASGI, ARCI, ActionAid, Mediterranea Saving Humans, Spazi Circolari e Le Carbet, aveva presentato ricorso al TAR per bloccare questa operazione ritenuta illegittima, in quanto complice dei continui abusi che le persone migranti subiscono in Tunisia, soprattutto da un anno a questa parte. 

L’istanza, respinta in un primo momento al Tar, a maggio, è stata approvata ieri dal Consiglio di Stato. L’invio delle motovedette, previsto in una prima tranche a giugno e in una seconda a dicembre, è stato bloccato fino a nuovo ordine. Il Tribunale infatti ha chiesto d’urgenza la sospensione cautelare del provvedimento. Non una vittoria definitiva, ma un segnale forte al Governo italiano. Che sta già correndo ai ripari. 

“Il decreto lascia sperare che ci sarà una decisione più lineare di quella del Tar Lazio, che appare viziata da molte contraddizioni” racconta a Nigrizia Cristina Laura Cecchini, avvocata socia Asgi e responsabile scientifica del progetto Oruka. Cecchini ha seguito il processo in prima persona come rappresentante di Mediterranea. “Nonostante i richiami degli special rapporteur Onu organizzazioni internazionali e l’altissimo allarme sui diritti umani, il Tar aveva valutato che fosse primario continuare la collaborazione con un partner, la Tunisia, con cui l’Italia lavora dal 2015. Ignorando completamente il cambiamento radicale che c’è stato nel paese nell’ultimo anno”. Periodo in cui la situazione umanitaria in Tunisia è precipitata. Soprattutto per chi è di origine subsahariana: “è scattata una vera e propria caccia alle persone nere”, racconta Cecchini. “Persone che vivevano e lavorano lì da anni sono state vittime di retate e respingimenti illegittimi verso la Libia. Sulla illegittimità della condotta si è pronunciato anche il comitato Onu contro la tortura.”.  

Eppure la Tunisia rimane, per l’Italia e l’Unione Europea, un “paese di origine sicura”. Nonostante il numerosissimo materiale a disposizione che prova l’esatto contrario. Come si spiega? 

“C’è una confusione dei piani in questa definizione. E infatti i tribunali di tutta Italia non stanno applicando l’elenco dei paesi di origine sicura, perché lo considerano illegittimo. C’è una presunzione di sicurezza che non ha riscontro nella realtà, perché vale, in parte, solo per i tunisini, ma non vale assolutamente per le persone provenienti dall’Africa subsahariana. Loro non sono al sicuro”. 

A ulteriore prova della situazione, da ieri c’è anche il nuovo rapporto di Alarm Phone, intitolato Mare interrotto, sulle pratiche illegali e violente della guardia nazionale tunisina nel Mediterraneo centrale. Un lavoro che si basa su testimonianze raccolte in 14 interviste da attori e attrici della società civile tunisina e transnazionale. A parlare, persone esuli sopravvissute ad attacchi in mare tra il 2021 e il 2023 e che offrono un chiaro resoconto di come la brutalizzazione da parte delle autorità di frontiera tunisine sia ormai una prassi tanto normalizzata da sembrare istituzionalizzata, parte integrante del cosiddetto “regime di respingimenti per procura” messo in atto dall’Unione Europea attraverso paesi come la Libia e, appunto, la Tunisia. 

Nel rapporto le autorità tunisine sono accusate di “mancanza di assistenza, rimozione del motore, violenze fisiche, minacce con armi da fuoco, uso di armi letali per obbligare le persone a bordo a spegnere il motore, ricorso a manovre pericolose che causano il ribaltamento delle imbarcazioni.” 

Segue una fitta documentazione che si aggiunge alle prove già accumulate negli anni e che si spera possa servire ai fini della prossima udienza, prevista inizialmente per l’11 luglio, ma anticipata, secondo la richiesta dell’avvocatura di Stato, al 4 luglio: l’invio delle motovedette non può aspettare. “La versione ufficiale è che hanno molta fretta di riprendere i soccorsi in mare”, commenta Cecchini. Ma la realtà è chiara: la fretta è di riprendere una collaborazione che da settembre, stando a quanto dichiarato dal ministro dell’interno Piantedosi, ha bloccato 30mila partenze. Numeri che dal governo sono stati letti come un successo, al di là delle modalità. E di fronte ai quali non c’è la minima intenzione di fermarsi. Una determinazione, quella governativa italiana ed europea, che rende ancora più necessari lavori come quelli di Asgi, di tutte le associazioni e organizzazioni che hanno partecipato e di Alarm Phone. Si legge nell’introduzione: 

“La pubblicazione di questo rapporto suona come una promessa – la promessa che, nonostante i tentativi di intimidazione, la solidarietà continuerà ad esprimersi senza sosta, a denunciare le politiche migratorie razziste e omicide, e a difendere la libertà di movimento per tutti.”

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