Da oltre dieci anni la Turchia ha ampliato il proprio influsso economico e culturale in decine di paesi africani. Al presente, tuttavia, a farla da padrone è la collaborazione nel settore militare e degli armamenti. Il governo di Ankara ha siglato accordi per la sicurezza soprattutto in Africa occidentale, con un’esportazione di droni e di altre armi senza precedenti.
Benché conti tuttora solo lo 0.5 % del mercato di armi vendute all’Africa, secondo i dati più recenti le sue esportazioni verso il continente per la difesa e il settore aerospaziale sono più che quintuplicate nel 2021, raggiungendo i 460.6 milioni di dollari, rispetto ai 82.9 milioni del 2020.
La crescita accelerata di queste vendite fa impressione, secondo uno studio sulla diplomazia securitaria turca verso l’Africa condotto nel 2022 dall’Istituto tedesco per gli affari internazionali e la sicurezza (Swp). Molti sono i governi africani che hanno fatto lievitare le spese per la sicurezza e la difesa – sia nei confronti dei gruppi jihadisti sempre più attivi che dei conflitti civili e interetnici – in un crescente numero di nazioni africane.
Alternativa turca
La Turchia si è rivelata nel 21° secolo un’alternativa efficace rispetto a tradizionali paesi esportatori di armi come Russia, Cina, Francia e Stati Uniti. Secondo molti leader africani le armi turche, a parità di qualità, sono meno costose di altre, arrivano dall’acquirente con maggiore celerità e non sono legate a ostacoli burocratici quali garanzia di rispetto dei diritti umani e politici.
I collaboratori del presidente nigeriano uscente Muhammadu Buhari hanno espresso compiacimento per le tecnologie di difesa turche nel 2021, dichiarando – anche se questo non sembra essersi verificato – che avrebbero permesso di velocizzare gli sforzi per eliminare dal paese i movimenti jihadisti e gruppi di banditi e rapitori.
Molti paesi africani, pertanto – secondo i dati raccolti dallo stesso studio tedesco -, dimostrano grande interesse all’acquisto di carri armati, equipaggiamento navale, droni e armi da fanteria.
A chi si chiedesse la ragione per cui i droni turchi sono così ricercati ha risposto il presidente Recep Tayyp Erdogan al rientro, nel 2021, da un lungo giro di visite nel continente: «Ovunque ci siamo recati in Africa – ha detto – il governo ha fatto richiesta di droni sia armati che di sorveglianza».
Acquirenti in crescita
I paesi che hanno già acquistato droni dalla Turchia sono Somalia, Tunisia, Marcocco, Togo, Niger, Nigeria ed Etiopia. Quest’ultima è stata accusata da alcuni paesi occidentali per averne fatto uso nel conflitto civile in corso in Tigray. Vari altri paesi hanno già fatto richiesta di acquisto.
Il vantaggio dei droni turchi rispetto a quelli statunitensi o israeliani, come menzionato, è che sono meno costosi e più facili da manovrare. Ma come afferma Yunus Turhan, analista delle relazioni turco-africane presso l’università turca di Haci Bayram Veli, sono anche super efficienti in battaglia.
Infatti, sono stati usati con grande successo in Siria, Libano e nella regione di Nagorno-Karabakh, in Azerbaijan. Di recente, inoltre, i droni armati Bayraktar TB2 sono diventati famosi in Ucraìna per aver distrutto molti carri armati russi.
L’Africa resta un obiettivo basilare per le vendite d’armi della Turchia, basti pensare che mentre nel 2002 il paese registrava soltanto 56 aziende armiere, nel 2020 ne contava ben 1.500.
Sono almeno 15 le nazioni africane che fanno uso di carri armati prodotti da fabbriche turche in competizione tra loro. Un’industria aerospaziale turca ha già contrattato l’invio alla Nigeria di sei elicotteri d’attacco e sta costruendo due grandi imbarcazioni per il monitoraggio delle acque.
Non solo armi
L’Africa non acquista solo armi dalla Turchia, molti paesi chiedono anche di poter avere programmi di assistenza per la sicurezza. La Turchia, in effetti, ha già firmato accordi di assistenza e addestramento militare con un crescente numero di paesi, soprattutto dell’Africa occidentale e orientale.
Un impegno duraturo è quello della Turchia in Somalia, dove è presente la sua più grande base militare, Camp Turksom, nella quale, secondo il governo di Ankara, sono stati addestrati un terzo dei 15mila combattenti somali contro al-Shabaab.
Istruzioni sull’uso dei droni da combattimento sono state impartite in Turchia a personale militare della Nigeria, come pure, dal 2020, a ufficiali di polizia del Kenya. Tra l’altro, il fatto che la Turchia sia membro della Nato evita ai paesi africani un costo troppo elevato dal punto di vista delle relazioni diplomatiche e politiche con l’Occidente.
Erdogan ha fatto visita ad un numero di nazioni africane più grande di ogni altro leader non africano, e questo gli ha permesso di definire personalmente la Turchia una nazione «afro-eurasiatica», assumendo così un’identità di paese neutrale nella sua partnership con l’Africa.
Turchia nel Sahel
Negli ultimi anni la Turchia ha cercato di estendere la sua presenza e il suo influsso soprattutto in Africa occidentale e centrale. Ad esempio, nel 2018 il governo di Ankara ha offerto per la lotta contro il terrorismo islamico 5 milioni di dollari ai G5, i cinque membri delle Forze congiunte del Sahel (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger). E ha siglato accordi di cooperazione e di difesa con Niger, Nigeria, Togo e Senegal.
Nel summit tra Turchia e Africa avvenuto nel 2021, erano presenti 16 paesi africani e oltre 100 ministri. Questo dimostra, secondo Aissatou Kante, ricercatore e analista in Senegal dell’Istituto africano di studi per la pace e la sicurezza, che il continente assegna alla Turchia un ruolo di grande importanza strategica nei paesi con cui collabora.
E va infine sottolineato che il crescente numero di accordi per la difesa e la sicurezza manifesta anche una progressiva militarizzazione di stati che presentano oggi le minacce più gravi alla loro stabilità.