Qualcuno l’ha scritto. Ed è vero: la guerra ha bisogno di uomini in uniforme. E di pensieri uniformi. L’invasione russa in Ucraìna ha aperto un vaso di Pandora dal quale escono i demoni del nostro tempo. Imperversano invettive. Ma anche sofismi, bizantini distinguo che spesso diventano stucchevoli e indigesti.
L’evidenza dei fatti, invece, non ammette equilibrismi paludosi: c’è un aggressore e c’è un aggredito. E di fronte a una guerra di aggressione, la difesa dell’aggredito è la condizione per conquistare la pace. C’è chi dice che il modo migliore per aiutarlo sia di rimpinguarlo di armi. E chi, invece, gli propone di alzare bandiera bianca. Da una parte lo “sterminio” per fermare il dittatore. Dall’altra la “resa” di un popolo.
Si può chiamare pace tutto ciò? C’è chi dice che sono gli stessi ucraìni a chiedere di essere armati. Ma è moralmente accettabile da parte nostra guardarli morire in Tv, bisbigliando commossi: “ma che eroi!”? Ed è altrettanto eticamente accettabile dire loro di arrendersi, temendo, in fondo, che l’allargamento del conflitto finisca per coinvolgere i nostri confini, le nostre case, le nostre famiglie? Per gli ucraìni una pace senza libertà è solo un cimitero. E se invocare la pace è moralmente indispensabile, è comunque politicamente insufficiente.
Entrambe le posizioni, quella del politico con l’elmetto e del pacifista con un finto ramo d’ulivo in bocca, soffrono della stessa sindrome: quella da divano. Si delega. E nel frattempo si riempiono di tanti bla-bla-bla i salotti di casa e televisivi o di sterili slogan le piazze d’Italia. Le retoriche di entrambi i fronti dovrebbero lasciar spazio, invece, ad azioni concrete. Senza affidarsi ai carri armati o allo sfinimento di un intero popolo. Perché l’urgenza è solo una: far tacere le armi e trovare una soluzione al dolore indicibile di quei volti che invadono la nostra banale quotidianità.
Come? Non ci sono già le mediazioni e le trattative istituzionali? Certo. Ma sono insufficienti. Ai primi di marzo su Repubblica Michele Serra aveva lanciato una proposta interessante: perché l’Unione europea non decide che il prossimo Consiglio dei ministri d’Europa abbia sede a Kyiv, con tutti i rappresentanti dei 27 paesi dell’Ue? «Se i 27 ministri degli esteri facessero della propria presenza fisica una testimonianza ben più forte di un’arma, che effetto farebbe sulla scena del pianeta?».
Luca Casarini dalle pagine del Riformista ha ampliato l’idea di Serra: «Serve una trasversalità di partecipazione. Non solo parlamentari europei, ma 30-40 mila europei in piazza Maidan. Con alla testa i parlamentari dei vari paesi, i segretari di partito, gli editorialisti, gli attivisti. Sarebbe una fly zone dal basso. Una iniziativa politica e umanitaria che diventi un vero e proprio scudo che si frapponga tra i combattenti». La Comunità Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, si era messa, nel suo piccolo, a disposizione per organizzare il viaggio dall’Italia. Aveva già aderito una trentina di parlamentari italiani, poi frenati dai loro “superiori”.
Gesti folli? Ma non è più folle la guerra scatenata da Putin? «La guerra è una pazzia!», lo dice anche Francesco. Non è follia quella crudeltà che è la morte in diretta? Non è follia la corsa al riarmo di ogni paese europeo, Italia inclusa? Servono gesti, anche impensabili, per sovvertire lo stato delle cose.
Banalizzare l’impensabile esclude ogni ragionamento.