“L’Anti-Homosexuality Act contraddice fondamentalmente i valori del gruppo della Banca mondiale”. Questa la motivazione con cui l’istituto di credito con sede a Washington ha comunicato ieri la sospensione di nuovi prestiti all’Uganda.
“Crediamo – si legge ancora – che la nostra visione di sradicare la povertà su un pianeta vivibile possa avere successo solo se include tutti, indipendentemente dalla razza, dal genere o dalla sessualità. Questa legge mina quegli sforzi. L’inclusione e la non discriminazione sono al centro del nostro lavoro in tutto il pianeta”.
In vigore dal 30 maggio, la legge ugandese anti-LGBT+ è considerata tra le più dure al mondo.
Oltre a pene detentive che raggiungono i 20 anni per “promozione” dell’omosessualità, prevede la pena di morte per “omosessualità aggravata”, che include il sesso con un minorenne o quando uno dei partner è infetto da una malattia cronica, incluso l’Hiv.
La sua approvazione ha sollevato un coro di sdegno e di condanne a livello internazionale.
Tra i primi a reagire gli Stati Uniti – importante partner commerciale e donatore, nonché azionista chiave della Banca mondiale – che a giugno hanno limitato la concessione di visti d’ingresso per alcuni funzionari.
Contro la legge era intervenuta anche la Open for Business Coalition, che riunisce colossi economici come Google e Microsoft. I quali però non hanno poi messo in atto misure sanzionatorie.
La decisione della Banca mondiale di bloccare i finanziamenti è frutto anche della pressione esercitata sul nuovo presidente Ajay Banga – insediato due mesi fa e al quale Nigrizia ha dedicato un approfondimento -, da parte di 170 gruppi civici che sollecitavano “azioni specifiche, concrete e tempestive”.
La Banca mondiale ha comunque affermato di aver avviato trattative con Kampala per spingere le autorità a riconsiderare la legge.
E che un team della Banca ha parlato con i funzionari ugandesi di “misure aggiuntive necessarie per garantire che i progetti siano attuati in linea con gli standard ambientali e sociali” dell’istituto.
Istituto che però fino ad oggi ha continuato a finanziare Museveni e il suo regime, ignorando bellamente le gravissime violazioni dei diritti umani – arresti e detenzioni arbitrarie, torture, sparizioni forzate e omicidi – operate da decenni nei confronti di dissidenti e oppositori.
Una campagna di repressione culminata di recente con la cacciata dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) dal paese.