L’Associazione dei medici ugandesi (Uganda Medical Association), ha condannato i crescenti casi di tortura da parte delle forze di sicurezza e chiesto al governo il permesso di accedere ai centri di detenzione e alle camere di tortura in tutto il paese, per offrire cure alle persone che hanno subito torture. “La tortura in custodia è un grosso problema in Uganda”, ha detto il presidente dell’organizzazione, Samuel Oledo, e i casi sono aumentati durante la pandemia di Covid-19.
Dall’inizio del 2020 la Commissione ugandese per i diritti umani (Uhcr) ha ricevuto un totale di 238 denunce di tortura (203 maschi e 35 femmine), di cui 150 contro le forze di polizia, 83 contro le forze armate (Updf) e 5 contro il servizio carcerario.
Ma il numero reale potrebbe essere molto più alto. L’Uhcr, organizzazione governativa, è infatti accusata di tacere su molti casi di torture nel paese, alcuni dei quali hanno portato alla morte. Accuse rese pubbliche il 14 febbraio da una cinquantina di sopravvissuti che si sono rivolti all’Alto commissariato Onu per i diritti umani (Ohchr) con sede a Kampala. «Si sono schierati con un dittatore assetato di sangue e non vogliono che smascheriamo i modi in cui la sua brutalità ci ha colpito. Ma tutte le prove di cui avete bisogno sono qui, sui nostri corpi», si legge nella petizione.
Nella loro petizione, i sopravvissuti alla tortura indicano che molti membri del Nup, la Piattaforma di unità nazionale (National Unity Platform), partito dell’oppositore Robert Kyagulanyi, alias Bobi Wine, sono ancora detenuti senza processo. La scorsa settimana, il partito ha pubblicato un elenco di 178 membri che, secondo loro, sono stati torturati dalle forze di sicurezza.
Le vittime più recenti sono Samuel Masereka, un coordinatore del Nup e il romanziere Kakwenza Rukirabashaija, arrestato il 29 dicembre e che, dopo essere stato scarcerato su cauzione il 21 gennaio, è fuggito dal paese.