La notte tra il 18 e il 19 dicembre l’Uganda è stata teatro dell’ennesimo attacco per mano del gruppo terroristico Allied Democratic Forces (Forze democratiche alleate – ADF) che opera principalmente nelle regioni occidentali del paese e in quelle confinanti della Repubblica democratica del Congo (RDC).
Il gruppo – legato alla Islamic State’s Central Africa Province (Provincia dell’Africa centrale dello Stato Islamico – ISCAP) da quando, nel 2019, è stato accolto nella galassia delle formazioni che operano nel quadro di riferimento dello Stato Islamico – non ha per ora rivendicato l’operazione, ma la zona e le modalità con cui è stata condotta non lasciano dubbi.
Il brutale attacco è stato effettuato nel distretto di Kamwenge, parrocchia di Kyabandara, una zona nelle vicinanze della catena montuosa del Rwenzori, a cavallo del confine tra l’Uganda e la RDC, dove si trovano le tradizionali basi del gruppo.
Secondo il portavoce dell’esercito ugandese, generale di brigata Felix Kulayigye, nell’incursione ci sarebbero state una decina di vittime. Il gruppo dei miliziani sarebbe stato composto da una decina di persone, probabilmente allo sbando dopo l’arresto, la scorsa settimana, del loro capo.
Potrebbero essere state in cerca di cibo, dal momento che teatro dell’azione terroristica sarebbe stata una zona di ristoro lungo la strada. Il gruppo sarebbe ora ricercato dall’esercito ugandese anche sul territorio della RDC. Tra i due paesi vige infatti da anni un accordo per la caccia congiunta ai terroristi dell’ADF.
Nel corso di quest’anno, l’ADF ha messo a segno diverse azioni terroristiche sia in Uganda che nella RDC.
Tra le tante, si ricordano: il massacro nella scuola secondaria di Mponde, nel distretto di Kasese, dove il 16 giugno scorso furono uccise 42 persone, 38 delle quali erano studenti, e altre 8 rimasero ferite; e l’uccisione, lo scorso ottobre, di una coppia di turisti sudafricani e della loro guida ugandese nel parco nazionale Queen Elizabeth, a circa 400 chilometri dalla capitale Kampala.
Quest’ultimo episodio segnala in modo preciso l’intenzione di colpire il turismo, uno dei settori trainanti dell’economia del paese (varrebbe il 7,7% del Pil, secondo dati governativi).
L’ADF costituisce un reale pericolo terroristico nella zona a cavallo del confine tra l’Uganda e la Repubblica democratica del Congo ed è il frutto di decenni di conflittualità nella vasta regione dell’Africa orientale.
Radici ed evoluzione
Secondo una ricostruzione della sua evoluzione ad opera di Stig Jarle Hansen (professore associato di relazioni internazionali presso l’Università norvegese di Scienze umane) pubblicato da The Conversation, (un network no profit di mezzi di comunicazione che pubblica online notizie, storie, ricerche e rapporti), il gruppo sarebbe nato nel 1995 sulla spinta e con i finanziamenti di Mobutu Sese Seko, il defunto dittatore dello Zaire (diventato RDC dopo la sua deposizione), e di Omar El-Bashir, allora presidente del Sudan.
Il loro scopo era destabilizzare l’Uganda e mettere in difficoltà il suo presidente, Yoweri Museweni, che sosteneva i loro rispettivi oppositori.
L’ADF è nato dall’unione di due gruppi di opposizione armata locali. Uno era la National Army for the Liberation of Uganda (Esercito nazionale per la liberazione dell’Uganda) con radici nella regione del Rwenzori, tra la popolazione dei bakonjo-baamba, in maggioranza cristiani; l’altro era costituito dai miliziani della Ugandan Islamic Salafi Foundation (Fondazione ugandese islamica salafita).
Con il passare del tempo, il gruppo islamista prevalse anche perché molti dei leader dell’altro gruppo decisero di accettare l’amnistia offerta dal governo ugandese alla fine del 1999. Segni di radicalizzazione diventarono evidenti a partire dal 2011. Nel 2019 lo Stato Islamico accettò il gruppo come suo esponente nell’Africa centrale.
Da quel momento l’ADF si è mosso compiendo attacchi terroristici su tutto il territorio ugandese, fino alla capitale Kampala, e nelle regioni della RDC limitrofe al confine, sia usando modalità “classiche” come le autobombe e gli assassini di esponenti governativi, sia attaccando la popolazione civile con tecniche militari. Le vittime delle sue azioni sono ormai alcune migliaia.
L’Africa orientale in pericolo
Il gruppo è cresciuto approfittando della forte instabilità della zona per le ormai pluridecennali tensioni nelle relazioni tra Repubblica democratica del Congo, Rwanda e Uganda. Le stesse che fanno da brodo di coltura dei numerosi gruppi armati che agiscono nelle regioni orientali della RDC.
Ma sono i legami internazionali e i finanziamenti dello Stato Islamico che rendono l’ADF particolarmente pericoloso.
Il suo percorso potrebbe, infatti, essere intrapreso da altri. Anzi, gruppi che si ispirano allo Stato Islamico sono già operativi nella regione, almeno in Somalia e Mozambico. E nulla, in teoria, impedirebbe una loro federazione.
La loro azione andrebbe a sommarsi a quella del gruppo somalo al-Shabaab, di ispirazione qaedista, ancora di gran lunga il più importante nella regione, che si muove anche nella stessa Uganda, in Kenya, in Etiopia e in Tanzania.
Così, mentre l’Europa è particolarmente attenta alla minaccia terroristica nei paesi saheliani e dell’Africa settentrionale, potrebbe crescere, differenziarsi e coalizzarsi quella che minaccia la stabilità dei paesi dell’Africa orientale.
Cioè di una regione di enorme importanza strategica per l’economia mondiale, limitrofa e influenzata da quella in cui si giocano gli assetti politici internazionali del pianeta, come dimostrano gli attacchi degli houthu yemeniti, armati di droni iraniani, alle navi occidentali in transito nel Mar Rosso, a seguito della crisi di Gaza.