Fa scalpore la notizia che Julia Sebutinde, giudice ugandese, è stata eletta vicepresidente della Corte internazionale di giustizia (ICJ).
Fa scalpore perché Sebutinde è stata l’unica giudice dell’intera Corte, composta da 17 membri, a pronunciarsi contro tutte le misure proposte dal Sudafrica contro Israele, accusata di genocidio ai danni della popolazione palestinese.
La prima udienza del processo si è tenuta lo scorso 26 gennaio, quando la sentenza provvisoria ha intimato a Israele di fare tutto il possibile per “prevenire possibili atti genocidari”. Le disposizioni proposte sono state accolte piuttosto favorevolmente dalla corte, fatta eccezione di due giudici. La posizione di Sebutinde è risultata più radicale persino di quella del giudice israeliano, suscitando reazioni divise soprattutto in patria.
La vicenda ha infatti messo in imbarazzo il governo di Kampala, che ha preso apertamente le distanze dalla giudice. “Non rappresentano in alcun modo le posizioni del paese riguardo al conflitto”, è stato dichiarato. Il fatto non è banale se si considera che l’Uganda, nell’ultimo anno, ha visto le sue relazioni con gli Stati Uniti, il principale alleato israeliano, diventare sempre più problematiche.
Il casus belli è da cercare nella legge contro i diritti LGBTQ+ entrata in vigore lo scorso maggio, e considerata attualmente una delle più restrittive al mondo. Un intervento normativo a cui hanno fatto seguito lo stop ai prestiti da parte della Banca Mondiale, la minaccia di sanzioni da parte di Biden, con conseguenti restrizioni sui visti per i funzionari ugandesi, e l’esclusione dagli accordi commerciali dell’African Growth and Opportunity Act (AGOA), programma che prevede l’ingresso negli Stati Uniti senza dazi per molti prodotti provenienti dall’Africa subsahariana.
E forse non è un caso che proprio quest’anno, candidato agli Oscar, ci sia un documentario dedicato alla vita del principale oppositore politico ugandese, Bobi Wine.
Parallelamente, c’è stato invece un rafforzamento dei rapporti tra Uganda e Iran, a seguito del “tour africano” di Ebrahim Raisi, presidente iraniano, lo scorso luglio. Occasione durante la quale Raisi ha elogiato Museveni proprio per la legge anti LGBTQ+.
Una situazione complessa che naturalmente si lega all’attuale quadro internazionale e che porta a interrogarsi su quali saranno i futuri sviluppi del processo che vede Sudafrica e Israele contrapposti e in che modo l’Uganda gestirà le sue relazioni diplomatiche in merito. (AB)