Nelle ultime settimane si sono intensificati gli attacchi terroristici in Uganda, dove lo scorso 16 novembre nella capitale Kampala si è registrato un nuovo duplice attentato, che ha provocato la morte di almeno sei persone – fra cui i tre attentatori suicidi – e il ferimento di altre 33.
I due attacchi quasi simultanei – le esplosioni sono avvenute a tre minuti l’una dall’altra -, hanno avuto luogo vicino a una stazione di polizia e in una strada in prossimità dell’edificio che ospita il parlamento. Le azioni sono state rivendicate con un messaggio postato sul canale Telegram di Amaq, l’agenzia di propaganda dello Stato islamico che ha giustificato l’azione affermando che l’Uganda è «uno dei paesi che partecipano alla guerra contro i combattenti dell’Isis in Africa centrale».
Anche il mese di ottobre era stato funestato da attacchi, il primo dei quali risale a venerdì 8, quando è stato lanciato un ordigno rudimentale contro una stazione di polizia a Kawempe, un quartiere della capitale Kampala. L’attentato non ha causato vittime, ma è stato il primo atto di terrorismo interno ad essere rivendicato dallo Stato islamico. Poi il 23 ottobre, un esplosione in un ristorante di Komamboga, un sobborgo di Kampala, ha ucciso una cameriera di 20 anni e ferito altre tre perone, due delle quali in modo grave.
Solo due giorni dopo, un attentatore suicida si è fatto esplodere su un autobus a 30 km a ovest della capitale, mentre percorreva l’autostrada Kampala-Masaka, uccidendo l’autista e ferendo 20 passeggeri. Anche questi due attentati sono stati rivendicati dallo Stato islamico.
Le autorità ugandesi stanno indagando sugli attacchi e le ipotesi degli inquirenti sono orientate sul gruppo delle Forze alleate democratiche (Adf), sospettato di avere legami con lo Stato islamico, che il 18 aprile di due anni fa ha rivendicato il primo attacco nella Repubblica democratica del Congo (RdC), seguito poi da altri. E al contempo aveva annunciato l’istituzione di una nuova wilaya (provincia) del califfato in Africa centrale (Islamic State Central Africa Province – Iscap), legittimata dal defunto califfo Abu Bakr al-Baghdadi, che il 29 aprile 2019 mostrò in un video un testo dedicato all’Iscap.
Nei trenta mesi successivi gli attacchi sono proseguiti e lo Stato islamico ne ha sempre attribuito la responsabilità ai ribelli delle Adf, gruppo armato sorto nel 1995 in Uganda, in opposizione al presidente Yoweri Museveni. Tuttavia, nel giro di un paio d’anni, le Adf spostarono il loro raggio d’azione nel settore orientale della RdC, dove sono considerate il gruppo più violento tra quelli attivi nella province del Nord Kivu e dell’Ituri che per questo sono da oltre sei mesi sotto stato d’assedio.
A partire dall’aprile 2019, l’Isis ha pubblicato vari documenti sul coinvolgimento delle Adf nell’Iscap, tra cui dichiarazioni pubblicate nella newsletter settimanale al-Naba e video diffusi dall’Amaq. La tesi che le Adf siano in stretto contatto con l’estremismo islamico militante è avvalorata anche dal fatto che affondano profonde radici nell’islam radicale, risalenti ad alcuni anni prima della loro fondazione.
Oltre alla decisione del dipartimento di Stato americano, che lo scorso 10 marzo ha incluso le Adf nell’elenco delle organizzazioni terroristiche straniere e inserito il loro leader Seka Musa Muhsin Baluku nella lista dei Terroristi globali appositamente designati (Sdgts).
Ciononostante, il reale legame tra l’Isis e le Adf rimane incerto e opacizzato dal fatto che è difficile sapere se l’intero gruppo o solo una parte si è allineato con lo Stato islamico. Anche perché i video diffusi dalle Adf non hanno il logo dell’Isis, che quando assume il controllo di un altro gruppo, pone fine a tutta la produzione di propaganda autonoma.
L’unica evidenza è che fin dalla nascita il gruppo ribelle ha scelto di avere un’identità fluida, giustificando la guerriglia armata con motivazioni politiche, religiose, etniche o secessioniste. L’importanza reale dell’islam per il gruppo armato è stata spesso messa in discussione dagli analisti, i quali hanno evidenziato che pur avendo ripetutamente utilizzato la retorica fondamentalista nelle sue rivendicazioni, l’islam per le Adf rappresenta solo una facciata per mascherare fini politici.
Lo Stato islamico potrebbe quindi aver cooptato una fazione minoritaria delle Adf, non riuscendo a operare il passaggio nelle sue fila dell’intero gruppo ribelle. Tale ipotesi trova riscontro in un nuovo report del Centro internazionale per lo studio della radicalizzazione e la violenza politica (Icsr), nel quale i ricercatori Brenda Mugeci Githing’u e Tore Refslund Hamming scrivono che, a partire dalla seconda metà 2015, il controllo del gruppo acquisito dal salafita Baluku, ha creato le premesse per trasformarlo in una wilaya dello Stato islamico.
Tuttavia, la determinazione di Baluku di unirsi all’ideologia del califfato ha diviso l’Adf in due fazioni: una maggioritaria (quella di Baluku) impegnata nel sostegno alle ambizioni di penetrazione dello Stato islamico in Africa centrale e orientale, l’altra invece contraria all’affiliazione con l’Isis e non sorretta da ideologie jihadiste. Quest’ultima rimane più convincente per attrarre nella sua orbita altre milizie esenti da componenti religiose fondamentaliste, che nelle provincie orientali del Congo costituiscono la maggioranza.
L’attacco della scorsa settimana nel ristorante di Komamboga ha ricordato due azioni violente simili compiute nella capitale l’11 luglio 2010. Quella sera andava in onda la finale tra Olanda e Spagna del Mondiale di calcio in Sudafrica e a Kampala venne attaccato un ristorante etiopico, dove morirono 15 persone. Un’ora dopo, due esplosioni in rapida successione, avvenute a pochi minuti dal termine dell’incontro, colpirono la folla accorsa al Kyadondo Rugby Club di Nakawa, un sobborgo di Kampala dove era stato allestito un maxischermo per vedere la partita. Nelle due detonazioni rimasero ferite 64 persone e 49 persero la vita.
Il duplice attacco fu rivendicato dal gruppo terrorista somalo al-Shabaab, come rappresaglia contro l’Uganda per aver contribuito all’invio di truppe per rafforzare l’Amisom, la missione di pace dell’Unione africana che combatte al-Shabaab in Somalia. Fu la prima volta che gli islamisti somali colpirono al di fuori del loro paese.
Le Adf e al-Shabaab sono però sui lati opposti della grande galassia jihadista – già in competizione tra loro anche nel Sahel occidentale -, perché il gruppo estremista somalo è ufficialmente affiliato ad al-Qaeda dal febbraio 2012. Di conseguenza, la cooperazione con una formazione armata legata allo Stato islamico sembra assai improbabile, anche se entrambi hanno un conto in sospeso con il presidente ugandese Yoweri Museveni.
Senza dimenticare che, come evidenzia il report dell’Icsr, le Adf hanno stretto legami con al-Shabaab dall’inizio del 2011, quando gli estremisti somali hanno cominciato a fornire determinante supporto nella logistica e nell’addestramento dei ribelli ugandesi. Una collaborazione che secondo i due specialisti sarebbe proseguita anche dopo l’affiliazione delle Adf nello Stato islamico.