Dietro la generosa accoglienza di rifugiati di varie nazioni (un milione e mezzo, per il 60,5% sudsudanesi e per il 29,3% della Repubblica democratica del Congo, secondo i dati dell’Unhcr) da parte del governo ugandese c’è chi sfrutta le loro condizioni di necessità. Molte delle centinaia di persone che tentano infatti di raggiungere l’Europa, vengono raggirate da truffatori e funzionari governativi in cerca di facili guadagni.
Ci sono testimonianze da parte di rifugiati secondo cui avrebbero pagato migliaia di dollari a questi imbroglioni o a funzionari corrotti dell’Ufficio del primo ministro (Opm) per vedere accelerato il processo di approvazione dei documenti necessari per un loro trasferimento in Europa. Trasferimento che poi non avviene. Un sistema che sembra aver ripreso slancio dopo gli scandali scoppiati nel 2018, che avevano coinvolto anche le agenzie Onu.
Vari profughi intervistati nel campo di Ruchinga hanno rivelato quanto accaduto. Il campo, costruito nel 1959 come luogo di transito di profughi tutsi fuggiti dal Rwanda in cerca di asilo politico, è situato nel distretto di Isingiro, nel sud ovest dell’Uganda. Oggi il campo ospita circa 131mila rifugiati, di cui 129mila congolesi e i rimanenti originari di vari paesi: Sud Sudan, Rwanda, Burundi, Kenya, Somalia e Sudan.
Un testimone, vittima del raggiro, racconta che una volta raggiunto il campo, nel 2012, proveniente dalla vicina Repubblica democratica del Congo, venne registrato e ottenne una carta d’identità come rifugiato. Più tardi compilò presso l’Opm una richiesta di trasferimento in Francia, richiesta poi trasferita all’Ufficio protezioni.
Corruzione
Un funzionario del Opm gli chiese 3mila dollari per velocizzare il processo. «Mi comunicarono che entro sei mesi sarebbe avvenuta la mia risistemazione», racconta. «Tornato dopo i sei mesi mi fu detto di attendere altri sei mesi; trascorso un anno lo stesso funzionario mi disse che non era stata data a un ufficiale a lui superiore la mazzetta dovuta, quindi avrei dovuto consegnare altri 3mila dollari e la mia cartella sarebbe stata esaminata per l’intervista finale e per darmi il benestare per raggiungere la Francia».
Tornato un’ultima volta all’ufficio, l’interessato rimase sbigottito quando gli venne detto in modo brusco di non farsi più vedere. «Di fronte alla mia insistenza mi minacciarono che avrebbero cancellato il mio nome e il mio status di rifugiato e mi avrebbero fatto arrestare. Decisi quindi di abbandonare l’idea di partire per non avere altri guai».
Una seconda persona, anche lei coperta da anonimato, aveva pure fatto richiesta di andare in Europa per unirsi a dei parenti in Inghilterra, testimonia che un suo conoscente nel 2017 aveva dato 10mila dollari per accelerare il processo burocratico per partire, ma invano. «Poi finalmente ha ottenuto il trasferimento, ma solo dopo essere rimasto totalmente al verde per le bustarelle pagate, minacciando di togliersi la vita – prosegue il testimone – non potendo più rientrare in Rd Congo perché aveva venduto casa e proprietà prima di giungere in Uganda».
In questo caso a mangiarsi i soldi erano stati gli interpreti linguistici che in genere aiutano i rifugiati in queste operazioni. La tattica è sempre la stessa, spingono i rifugiati a pagare per avere i documenti richiesti in breve tempo, poi, offrendo un po’ di soldi a funzionari compiacenti delle Nazioni Unite, accelerano le procedure burocratiche, ma le persone vengono raggirate senza risultato alcuno. E chi ne è vittima non può che rassegnarsi perché non ha più i mezzi per tornare da dove è venuto.
Compravendita di cartelle
La corruzione di molti funzionari si esercita anche nella gestione delle cartelle di richieste di trasferimenti di rifugiati, vendute per denaro falsificando l’identità delle persone. Poiché non esiste, come un tempo, alcuna verifica nell’aeroporto di Entebbe delle impronte digitali di chi si presenta con i documenti di espatrio, chiunque in possesso di biglietto può servirsi della cartella di altri e lasciare il paese.
Un altro rifugiato congolese racconta: «Il giorno in cui giunsi a Ruchinga una donna che mi accolse mi chiese perché avessi scelto questo campo. Quando le rivelai che era per seguire alcuni parenti già nel campo, mi rispose che qualcuno aveva preso la mia cartella e il mio nome, e si era già stabilito in Canada». Molti altri casi simili si verificano. «Rappresentiamo un buon affare per gli ufficiali corrotti – insiste l’uomo – lo scorso anno le carte di alcuni di noi furono trattenute negli uffici di un impiegato finché una donna coraggiosa si impadronì del computer di un ufficiale e lo portò dalla polizia che la compensò del denaro perso e arrestò il colpevole».
«Ma le lamentele scritte nell’apposito contenitore vengono ignorate e eventuali denunce telefoniche possono essere intercettate e chi le facesse verrebbe facilmente rintracciato vedendosi cancellare lo status di rifugiato; si preferisce quindi non rischiare», conclude.
Originario della martoriata provincia nord orientale del Nord Kivu, il rifugiato era giunto in Uganda nel 2012 e fu ricevuto nell’Ufficio del primo ministro; dopo due anni di asilo politico ottenne un certificato come rifugiato, ma dopo due anni, nel 2014, lasciò Kampala dove non riusciva più a mantenere la famiglia e fu accolto a Rushinga, dove i funzionari del Opm gli consegnarono effetti di prima necessità e cibo per continuare a vivere.
Aiuto insufficiente
«All’inizio mi dissero che ognuno della mia famiglia avrebbe ricevuto ogni mese il cibo necessario – racconta – così mia moglie, i miei quattro figli ed io ricevevamo 12 kg di mais e 3 di fagioli. Eravamo felici. Poi ridussero di metà il cibo e dovetti andare a Kampala per lavoretti che mi permettessero di coprire il fabbisogno. Mia moglie un giorno mi chiamò per dirmi che l’aiuto in cibo delle Nazioni Unite era sospeso e avrebbero dato soltanto aiuti in denaro, circa 30mila scellini ugandesi al mese (nemmeno 8 dollari e mezzo). Un anno dopo l’Opm annunciò che gli scellini sarebbero stati ridotti a 21mila (meno di 6 dollari) per la scarsità di fondi delle Nazioni Unite. Pochi mesi dopo da 21mila il sussidio si ridusse a 9mila (2 dollari e mezzo) e oggi è ciò che riceviamo».
«Insomma – conclude – da quando siamo arrivati al campo la vita si è fatta sempre più dura e purtroppo non possiamo tornare in Congo a causa della grave insicurezza ancora presente nel nostro territorio». Quanto alla salute e ai servizi sanitari, per i rifugiati di Ruchinga dovrebbero essere gratuiti presso la clinica di Rulongo, ma l’unica cosa che i rifugiati ottengono in caso di malattie è la prescrizione, mentre devono pagarsi le medicine che non solo scarseggiano ma sono costose».
I mezzi di trasporto, infine, offerti dalle Nazioni Unite per favorire il movimento dei rifugiati e per le necessità ed emergenze del campo, finiscono col servire spesso solo i funzionari dell’Opm. «Ogni giorno – conclude mestamente il testimone -, seduto in una stanza, penso ai miei famigliari spesso a stomaco vuoto, e rimpiango il fatto di aver lasciato la mia terra, dove tra l’altro di recente è deceduto mio padre, cui non ho nemmeno potuto dare decente sepoltura».