Le proteste degli ambientalisti e dei difensori dei diritti umani non hanno impedito alla compagnia petrolifera francese TotalEnergies di portare avanti il suo progetto in accordo con il governo ugandese.
E il 28 giugno, secondo quanto comunicato dall’Autorità petrolifera dell’Uganda (Pau), sono iniziate le perforazioni di pozzi petroliferi nel parco delle Murchison Falls, la maggiore area naturale protetta del paese.
TotalEnergies prevede di scavare 400 pozzi per arrivare al petrolio che si trova a circa due chilometro di profondità, di iniziare la produzione nel 2025 e di poter produrre fino al 190.000 barili di petrolio al giorno.
Si tratta di un investimento di 10 miliardi di dollari che vede coinvolti TotalEnergies, Uganda, Tanzania e la compagnia cinese Cnooc.
Il progetto prevede anche la costruzione di un oleodotto di 1.443 km per traferire il petrolio dall’Uganda occidentale alla costa tanzaniana sull’Oceano Indiano.
La struttura attraverserà numerosi ecosistemi protetti, con una tubatura riscaldata a 50 gradi.
L’estrazione e la raffinazione in Uganda, nei pressi del lago Alberto, sono affidate ai progetti Tilenga e Kingfisher.
Di fatto l’accordo di Parigi (2015) sui cambiamenti climatici sembra non essere vincolante e molti paesi in via di sviluppo continuano per la loro strada – quella dello sviluppo appunto – senza preoccuparsi troppo della “transizione ecologica” che viene evocata in ogni summit internazionale.
Human Rights Watch, in un rapporto pubblicato ai primi di luglio, ha chiesto di che il progetto sia bloccato perché «devasta i mezzi di sussistenza di migliaia di persone».
Gli Amici della Terra rilevano che «Total supera tutti i limiti immaginabili, cominciando l’estrazione petrolifera in uno dei luoghi con maggiore biodiversità al mondo».
TotalEnergies e i suoi partner assicurano invece che «al centro del progetto ci sono le sfide ambientali e i diritti delle comunità locali».