Una sentenza della Corte penale internazionale (Cpi) aveva condannato, il 10 febbraio scorso, l’Uganda a risarcire la Repubblica democratica del Congo per i danni provocati sul territorio congolese durante le Seconda guerra del Congo (1998-2003).
La Rd Congo aveva reclamato un risarcimento di 11 miliardi di dollari. La Cpi aveva stabilito invece che riceverà 325 milioni di dollari suddivisi in 5 rate annuali di 65 milioni ciascuna.
La prima rata è stata versata il 1° di settembre: lo ha reso noto la ministra della giustizia congolese, Rose Mutombo, nel corso del consiglio dei ministri che si è tenuto venerdì scorso a Kinshasa.
La sentenza aveva precisato che 225 milioni vanno corrisposti per la perdita di vite umane, 40 milioni per la distruzione di beni e 60 milioni per i danni causati alla risorse naturali.
L’Uganda aveva definito la sentenza «ingiusta ed erronea», tanto più che «i due paesi stanno rafforzando le loro relazioni. Il riferimento è al fatto che dal novembre 2021 reparti dell’esercito ugandese stanno collaborando con le truppe congolesi nel nordest del paese, in particolare nell’Ituri, per arginare le azioni dei ribelli delle Forze democratiche alleate.
Una “alleanza” che è stata criticata dai partiti dell’opposizione politica congolese e da ampi settori della società civile, che non hanno dimenticato quanto accaduto nel 1998. Quando gli eserciti di Rwanda, Uganda – che avevano supportato Laurent-Désiré Kabila nel conflitto che aveva posto fine al trentennale regime del maresciallo Mobutu – si rifiutarono di lasciare il territorio dell’Rd Congo.
Museveni (Kampala) e Kagame (Kigali) già allora avevano precise mire su ampie aree del paese confinante.
Fu l’innesco della Seconda guerra del Congo che vide schierati con Kinshasa Angola, Ciad, Namibia e Zimbabwe, mentre a fianco di Uganda e Rwanda si pose il Burundi. Si stima che quella guerra, che si concluse con il ritiro degli eserciti invasori e con la pace di Pretoria, abbia causato direttamente e indirettamente tra i 4 e i 5 milioni di morti.
