Un'intimidazione e un avvertimento - Nigrizia
Chiesa e Missione Sud Sudan
L'agguato al vescovo Carlassare in Sud Sudan
Un’intimidazione e un avvertimento
Nuovi dettagli mettono in chiaro la dinamica dell'attentato a Monsignor Christian Carlassare e il suo stato di salute. Mentre trapelano le prime indiscrezioni sul movente
26 Aprile 2021
Articolo di Filippo Ivardi Ganapini
Tempo di lettura 4 minuti
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Mentre trascorrono le ore si chiarifica la dinamica dell’agguato a padre Christian Carlassare, vescovo di Rumbek. Raggiunta al telefono da Nigrizia, Rebecca Tosi, volontaria del Cuamm – addetta al rifornimento dell’ospedale di Rumbek e originaria di Verona – che dormiva nel compound a pochi metri alla stanza del vescovo, racconta: «Questa mattina, trenta minuti dopo mezzanotte, abbiamo sentito degli spari, siamo volati giù dal letto e abbiamo capito che erano indirizzati a padre Christian».

Nel frattempo, mentre la autorità locali tacciono, è appena uscita una nota della Conferenza episcopale dei vescovi del Sud Sudan che racconta nei dettagli l’accaduto e invita la popolazione a pregare per la rapida guarigione del nuovo vescovo. Tra le righe, emerge un particolare: “Un sacerdote che ha la stanza accanto a Mons. Christian è uscito e ha chiesto agli uomini armati cosa volessero, ma ha ricevuto colpi di avvertimento per farsi da parte. I due hanno chiesto a padre Christian di uscire e, di fronte al suo rifiuto, gli hanno sparato a entrambe le gambe e sono fuggiti”.

Quel sacerdote è padre Andrea Osman, della Diocesi di Rumbek che racconta alla radio cattolica Network Morning News Service: «Ho sentito il vescovo gridare e, sentendo gli spari, ho provato a bussare alla mia porta dall’interno, in modo da spaventare le due persone armate, ma non sembravano per nulla intimoriti. Anzi, hanno preso di mira la stanza del vescovo, hanno bussato alla sua porta e hanno iniziato a sparare finché non l’hanno sfondata. Così gli hanno sparato alle gambe e sono fuggiti. Penso che gli abbiano sparato tre proiettili, due su una gamba e uno sull’altra. Quando mi hanno visto, mi hanno detto di andarmene. Uno di loro mi ha sparato due proiettili che sono finiti nella sedia dietro me».

Per quanto riguarda la salute di padre Christian ci rassicura Enzo Pisani, medico del Cuamm che racconta a Nigrizia: «Due colpi di fucile gli hanno attraversato i polpacci. Non gli hanno dato fratture ma un sanguinamento notevole. La cosa più importante è quindi stata, da subito, quella di trovargli del sangue; il che non era certo facile perché ha un gruppo sanguigno H negativo. La provvidenza ci ha però aiutato e un volontario del Cuamm, con gruppo O negativo, gli ha donato il suo. Gli abbiamo tamponato e fasciato la ferita e padre Christian si è ripreso bene dall’anestesia.

Abbiamo subito contattato l’ICRC, il Comitato internazionale della Croce Rossa che si occupa di trasferimenti di feriti di guerra e hanno mandato un aereo a prenderlo. Ora è in volo per Juba dove c’è un ospedale attrezzato per ferite d’arma da fuoco».

Alla domanda se nei giorni scorsi qualcosa avesse lasciato trapelare un’opposizione verso padre Christian da parte della gente, Rebecca risponde: «Niente lasciava pensare a un attentato del genere. Ieri dopo la messa abbiamo pranzato con il vescovo (al centro nella foto del pranzo di ieri), che era tranquillissimo, e con i volontari del Cuamm.

Padre Christian è qui da solo due settimane ma la gente lo cerca, lo saluta, gli ha fatto festa. Ieri alla messa c’erano un sacco di persone entusiaste del loro nuovo pastore». (Nella foto il vescovo Carlassare il 16 aprile scorso a Rumbek durante il rito di benvenuto).

Ma alcune voci trapelano in città e il movente dell’agguato, ancora un’ipotesi da verificare, potrebbe proprio essere il rifiuto di alcuni gruppi dinka di un nuovo vescovo, venuto da lontano, a rimpiazzare il coordinatore diocesano che invece era autoctono e che aveva diretto la Diocesi di Rumbek per nove anni dopo la morte, nel luglio del 2011, di Monsignor Cesare Mazzolari, missionario comboniano e vero “padre del popolo”.

Alcuni fedeli dinka si aspettavano quindi il passaggio di testimone ad uno della loro etnia per ereditare anche l’insieme di strutture e investimenti di rilievo in una Diocesi dove ancora è molto evidente la presenza di personale apostolico venuto da fuori, rispetto ad una piccola decina di preti diocesani.

«Si tratta di un avvertimento chiaro e di un’intimidazione per padre Christian – dichiara a Nigrizia una fonte sicura che conosce bene le dinamiche sul posto e che proteggiamo con l’anonimato – dietro a questo agguato c’è un messaggio e un mandante, questo è chiarissimo! Il messaggio chiaro che hanno voluto trasmettergli è che qualcuno non lo vuole qui e che non deve essere consacrato vescovo il prossimo 23 maggio, giorno di Pentecoste. Un padre spiritano, tra i possibili candidati all’episcopato proprio in quella Diocesi, ha ricevuto in precedenza, e proprio per questo, minacce di morte. I dinka sono molto vendicativi e la violenza è spesso, per alcuni di loro, uno stile di vita. Mi dispiace moltissimo per padre Christian ma questa è la realtà con cui avrà a che fare».

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