Milioni di persone, anche in Africa, sono affette da disturbi mentali. Molte di queste soffrono di depressione o ansietà, che rientrano nella categoria Common Mental Disorders. Si parla di oltre 100 milioni (World Health Organization).
Spesso si va avanti come si può cercando di superare i giorni e le difficoltà, ma capita anche che non si abbiano più le energie e le motivazioni per andare avanti e si commetta suicidio. Molti sono giovani.
Nel 2022 l’OMS lanciò un allarme rivelando che l’Africa registrava il più alto tasso di morti per suicidio al mondo. Circa 11 persone su 100mila muoiono ogni anno togliendosi la vita. Una cifra superiore alla media globale di 9 persone su 100mila.
Spesso non si conosce, non si comprende, il motivo del proprio malessere, mancano le diagnosi e chi che ne avrebbe bisogno non ha i mezzi per fare ricorso a cure specialistiche. Una percentuale altissima nei paesi a basso e medio reddito, il 90%.
Inoltre, il numero di psicologi e soprattutto psichiatri è molto ridotto e spesso questi professionisti operano esclusivamente nelle capitali. In molti paesi a basso e medio reddito il tasso di psichiatri per popolazione è pari a 1 ogni milione di abitanti. Una missione impossibile.
A volte si tratta di casi che potrebbero essere alleggeriti, se non addirittura risolti, da un ascolto empatico. Ecco, c’è chi di queste riflessioni ha fatto virtù, trasformando i problemi in opportunità e facendo diventare un “protocollo medico” qualcosa di assai semplice e innato, soprattutto in certe comunità: l’ascolto.
Quello paziente, attento, non giudicante di una persona anziana, di una donna, di una nonna. E non occorre uno studio medico, basta una panca di legno, magari posta all’ombra di un albero. È cominciato proprio così, nel 2006, il progetto “friendship bench”, una panchina (e una nonna) per amiche.
Nasce in Zimbabwe, dall’iniziativa del dottor Dixon Chibanda, uno di quella decina scarsa di psichiatri che operano nel paese, che conta quasi 17 milioni di abitanti. Il medico ha trovato la formula unendo l’approccio medico alla tradizione e la naturale predisposizione alla cura delle donne.
In sostanza ha formato – e il processo continua – un certo numero di grandmother (nonne) soprattutto in territori e località remote dalle quali le persone in stato di bisogno non avrebbero possibilità di muoversi.
Il dottor Chibanda ha portato spesso la sua personale esperienza proprio su questo aspetto, citando il caso di una giovane ragazza. La madre aveva contattato lo psichiatra perché aveva capito che il disagio della figlia era una cosa seria, ma poi non si erano recate in studio dove lui le aveva convocate, nella capitale Harare.
Fu il medico stesso a ricontattare la madre che gli diede la notizia: la ragazza, la figlia, giovane 26enne, si era tolta la vita. Il motivo per cui non erano andate all’appuntamento si stenta a credere in questa parte del mondo: non avevano i 14 dollari che servivano per il trasporto.
Abusi, conflitti, violenze, malattie, motivi economici, solitudine: sono alcuni dei casi che provocano la discesa nell’inferno da dove non si riesce a risalire senza una mano forte e decisa a cui aggrapparsi. Anzi, senza qualcuno disposto ad ascoltarti, perché non è impossibile combattere e guarire da kufungisisa (depressione nella tipica espressione locale).
Il medico assicura che una panca di legno e una nonna empatica hanno salvato molte persone. Ovviamente, come avverte lo stesso Chibanda, se non si possono misurare i risultati non si può sapere se funziona. Ecco perché l’attività “clinica” è soggetta a continui follow-up.
Studi che non solo sono necessari per verificare i risultati ma che vengono anche messi a disposizione della comunità scientifica. E le analisi dimostrano che al termine di ogni ciclo di sedute ci sono miglioramenti. A rivolgersi alle nonne sulle panchine sono soprattutto le donne, anche se sta aumentando il numero degli uomini, dei giovani e di persone che stanno lottando contro l’HIV.
Questa forma di terapia che pare abbia avuto il suo culmine nel periodo della pandemia viene ora adottata anche in altri paesi africani: Botswana, Malawi, Kenya e Tanzania ma anche in Vietnam, mentre a Londra è in corso un “lavoro formativo preliminare”, e persino negli Stati Uniti.
Panchine dell’amicizia sono già state posizionate in aree difficili come Harlem e il Bronx o in quartieri particolarmente poveri. Le donne anziane – che, va detto, ricevono un training di formazione professionale prima di cominciare ad operare – siedono pazientemente, pronte ad ascoltare e impegnarsi in una conversazione a tu per tu con la persona che ne ha bisogno.
La terapia, dunque, si ispira alla pratica tradizionale dello Zimbabwe in cui le nonne erano le persone a cui rivolgersi per ottenere saggezza e consigli in tempi difficili. Un’abitudine un po’ persa a causa dell’urbanizzazione, la diminuzione del numero delle famiglie allargate, la moderna tecnologia.
«Le nonne sono custodi della cultura e della saggezza locale. Sono radicate nelle loro comunità», ha affermato Dixon Chibanda. «Inoltre, hanno una straordinaria capacità di usare ciò che chiamiamo ’empatia espressa’… per far sentire le persone rispettate e comprese».
Niente stigma, niente giudizio, solo condivisione di sentimenti e reale desiderio di aiutare qualcuno a stare meglio. La rete, che ormai da molti anni collabora con il ministero della Salute della Tanzania, l’Organizzazione mondiale della sanità, e altri organismi internazionali, è cresciuta fino a comprendere oltre 2mila nonne in tutto il paese.