Con la crisi energetica, c’è chi punta nuovamente sul nucleare. E quindi sull’uranio. Secondo le previsioni di ResearchAndMarkets, la produzione globale di uranio dovrebbe raggiungere addirittura le 66.320 tonnellate nel 2026, rispetto alle 55.690 del 2022.
L’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) prevede che circa 1,1 trilioni di dollari saranno investiti nell’energia nucleare entro il 2040, per un aumento del 46% nella sua produzione.
La Cina potrebbe diventare la più grande produttrice di energia nucleare al mondo entro il 2030. La sua capacità nucleare installata dovrebbe passare da 34 GW nel 2016 a 111 GW nel 2030, secondo l’Aie. In Francia, il presidente Emmanuel Macron ha annunciato, nel febbraio 2022, la costruzione di almeno sei reattori nucleari entro il 2050 per un investimento stimato in 46 miliardi di euro.
Riflessi africani
Ovviamente ci sono anche riflessi africani legati a questa nuova fiammata nucleare. Secondo il rapporto dell’agenzia Ecofin Pro intitolato L’uranio africano verso una nuova età dell’oro: progetti e sfide, il ritorno a questo metallo si manifesta nel continente con il rilancio di vecchi progetti, il lancio di nuovi e più in generale con un afflusso di investitori alle risorse del continente.
Due i principali produttori: Namibia e Niger che stanno preparando il riavvio di miniere poste in manutenzione o che stanno prevedendo la costruzione di nuove miniere, con l’assistenza in particolare di compagnie minerarie canadesi e australiane.
In Niger si possono citare i progetti Dasa (che dovrebbe entrare in produzione entro quest’anno) e Madaouela (la cui entrata in servizio è prevista nel 2025).
In Namibia il nuovo progetto più avanzato è quello di Tumas, pilotato da Deep Yellow.
Cambio al vertice della classifica
In questi ultimi anni si è assistito a un cambio della guardia importante al vertice di questa speciale classifica. L’uranio ha sempre rappresentato una delle grandi ricchezze del sottosuolo nigerino. Il combustibile nucleare è un pilastro dell’economia del paese, che ha a lungo mantenuto lo status di principale produttore del continente. Eppure, dal 2016 ha perso quel primato a favore della Namibia.
Secondo la World Nuclear Association (Wna) la produzione di uranio del Niger è stata di 4.667 tonnellate nel 2012, rispetto alle 4.495 della Namibia. I due paesi hanno poi risentito delle decisioni di chiusura delle centrali nucleari a seguito dell’incidente di Fukushima e delle loro ripercussioni sul mercato dell’uranio.
Tuttavia, la produzione di uranio della Namibia è poi ripresa nel 2016, per un totale di 3.654 tonnellate, rispetto alle 3.479 tonnellate del Niger. Da quell’anno, l’analisi delle curve di evoluzione mostra che i volumi prodotti in Niger sono in discesa, mentre quelli della Namibia in salita.
Nel 2023, la Namibia è il terzo produttore mondiale con 6.382 tonnellate prodotte, dietro al Kazakistan con 22.967 tonnellate e Australia con 7.273 tonnellate. Il Niger è al sesto posto con 3.527 tonnellate.
E sebbene Niamey abbia previsto l’entrata in esercizio di nuove miniere, che certamente aumenteranno la sua produzione di uranio, è improbabile che questi volumi tornino a salire nel breve o medio periodo al di sopra di quelli della Namibia.
Tanto più che quest’ultima può ancora contare sulla sua miniera di Husab (la terza più grande miniera di uranio al mondo nel 2021), mentre il Niger ha visto chiudere nel 2021 una delle sue miniere più grandi, quella di Akouta (Cominak).