Il Mozambico ha vissuto negli ultimi anni il vento della scoperta di risorse naturali. E diverse multinazionali ci si sono buttate, sfruttando le sabbie pesanti, le pietre preziose, il gas, il petrolio, compreso il carbone e le risorse marine e faunistiche.
Ma che è accaduto con la brasiliana Vale che sta per abbandonare le miniere di carbone di Moatize, nella provincia mozambicana di Tete?
L’estrazione del carbone minerale a Moatize è iniziata nel 2008. Tuttavia, le prime esportazioni si hanno nel settembre del 2011, attraverso il porto di Beira.
Si stima che l’attuale capacità produttiva sia di 11 milioni di tonnellate all’anno. Si presume che Moatize abbia una delle più grandi riserve di carbone del mondo. Il 21 gennaio, tuttavia, la multinazionale brasiliana Vale ha annunciato la volontà di abbandonare le miniere di Moatize per motivi ambientali: la multinazionale intende diventare un’azienda carbon neutral entro il 2050, riducendo del 33% le sue emissioni entro il 2030.
Le implicazioni socio-economiche del ritiro di Vale
Ci sono grandi depositi di carbone, metallurgici e termici, a Tete. Questo invoglia molti investitori stranieri e altri che credono nel denaro facile. Almeno guardando la quantità di carbone che viene trasportato in treno attraverso il Corridoio di Nacala, è giusto dire che Vale si arricchisce con questo business.
L’economista Carlos Nuno Castel-Branco ritiene che ci sia uno scollamento tra il settore minerario e le altre attività economiche del paese. A sua volta, uno studio pubblicato dal Centre for Public Integrity, Cip, un’organizzazione non governativa mozambicana, ha mostrato che “Vale gode di una riduzione del 15% dell’imposta sul reddito delle società, che ricade sulla miniera durante i primi 10 anni (…).
È esente dalla Sisa (tassa sul trasferimento di proprietà) sul trasferimento di beni dello stato, dalla tassa di liberazione, dalle tasse doganali, dall’imposta di bollo, dall’imposta specifica sul consumo, dall’imposta sul valore aggiunto (…)».
Tuttavia, con l’estrazione del carbone ci si aspettava che l’azienda potesse contribuire allo sviluppo non solo della regione di Tete, ma che aumentasse anche lo sviluppo del paese in generale, impiegando manodopera locale e destinando parte dei ricavi in infrastrutture sociali. Sfortunatamente, il Mozambico manca di una forza lavoro qualificata con un background accademico in geologia e miniere.
Effetti negativi
Diversi analisti e docenti ritengono che il ritiro di Vale potrebbe avere un impatto negativo sull’economia del paese. Dércio Alfazema, un ricercatore dell’Istituto per la democrazia multipla, crede che Vale stia abbandonando gli investimenti perché i prezzi del carbone sono scesi sul mercato mondiale. Inoltre, propone che l’azienda garantisca il futuro dei lavoratori.
Quello che si sa è che Vale intende vendere la miniera a qualche azienda che possa ancora sfruttare il carbone.
Da parte sua, il direttore del Centro per la democrazia e lo sviluppo (Cdd), Adriano Nuvunga, afferma che il settore minerario in Mozambico è associato a Vale e «si sperava che quel business diventasse l’Eldorado per il paese». Il suo ritiro «significherà perdite anche finanziarie».
Va ricordato che negli ultimi 15 anni, Vale ha agito in partnership con i governi del Mozambico e del Malawi, nell’esplorazione della miniera Moatize e dei 912 km del Corridoio di Nacala.
Impatto ambientale
Una delle ragioni che Vale ha elencato per il suo ritiro è legato a questioni ambientali. Infatti, la multinazionale brasiliana e l’indiana International Coal Ventures Limited (ICV) operano in miniere a cielo aperto nella provincia di Tete, inquinando la regione. Questa è una grave violazione dei diritti umani e della dignità delle comunità.
Nei primi momenti del loro insediamento nella regione, la società civile aveva alzato la voce per protestare contro le questioni legate all’ambiente e che erano ignorate dal governo.
In un’indagine condotta da Sekelekane, un’organizzazione non governativa, si denunciano i rischi elevati dell’attività mineraria per la salute della popolazione di Moatize. Lo studio è stato pubblicato nel giugno 2020 e ha analizzato gli impatti socio-ambientali dell’attività di estrazione del carbone nelle regioni di Moatize e Benga.
Oltre a descrivere gli alti livelli di inquinamento acustico, dell’acqua e dell’aria, i risultati dello studio indicano che questi cambiamenti interferiscono con la salute della popolazione, compresi i loro mezzi di sussistenza: agricoltura e pesca, a causa dell’inquinamento dei flussi fluviali e della qualità dell’acqua.
Una contaminazione che, abbinata alla mancanza di igiene, alle cattive condizioni abitative e alla mancanza di lavoro, ha messo le regioni colpite «in una posizione di grave vulnerabilità a rischi multipli». Una situazione che accentua l’ingiustizia socio ambientale che colpisce la popolazione della zona.
In questo senso, il documento richiede alle compagnie minerarie di avere un senso di responsabilità nelle loro azioni operative, compresa la sussidiarietà nel sistema sanitario pubblico.
Secondo Ana Piedade Monteiro, ricercatrice della Zambezi University e coautrice dello studio intitolato Environmental impact of open-pit coal mining in the district of Moatize, l’esposizione alla polvere di carbone può causare diverse malattie respiratorie alle persone colpite. La ricercatrice chiede che «ciò che accade con l’esposizione alla polvere di carbone entri nei registri sanitari in modo che i medici possano diagnosticare meglio i pazienti».
Una sentenza del tribunale provinciale di Tete, firmata dal giudice Justo Mulembwe e datata 26 gennaio 2021, ha condannato la Vale al pagamento di 158 mila euro a 48 contadini perché la recinzione che la compagnia ha costruito intorno alla sua miniera ha impedito a questi coltivatori di accedere ai suoi campi.
La sentenza assicura che Vale ha violato la legge mineraria per quanto riguarda i diritti delle comunità che vivono nelle vicinanze delle miniere. Così, «lo stato mozambicano dà il primato ai diritti preesistenti di uso e sfruttamento della terra, revocandoli solo attraverso un’equa compensazione per i richiedenti lo sfruttamento minerario».
Dall’emergere dei megaprogetti nell’industria estrattiva, in molti, anche in ambito accademico, hanno chiesto che il governo assegnasse parte delle entrate ai legittimi beneficiari, il popolo.
La posizione della Chiesa
A questo proposito, il Consiglio permanente della Conferenza episcopale mozambicana (Cem) nell’agosto 2020 ha pubblicato una nota pastorale in cui sostiene che i megaprogetti sono una grande opportunità ma rappresentano anche megaproblemi.
Così, «…se mancano la saggezza, la prudenza e le politiche giuste e lungimiranti lo sfruttamento di quelle risorse può diventare un incubo, una seria minaccia per il paese, se non una vera fonte di divisione, conflitto e guerra». Inoltre, «per ragioni di avidità, corruzione materiale e morale, tali ricchezze diventano una fonte di disuguaglianza, violenza, crimine organizzato, distruzione e morte».
Secondo i vescovi, con questi mega progetti molte persone sono costrette ad abbandonare forzatamente o di loro spontanea volontà le proprie comunità d’origine, perdendo così il legame con la terra, le abitudini di lavoro, la cultura e anche la propria identità».
Questo accade regolarmente poiché «sono tanti coloro che, senza una chiara ed equa negoziazione e la protezione dell’autorità competente, vengono forzatamente sfollati dalle loro terre d’origine verso zone di reinsediamento, in alcuni casi improprie o senza un minimo di infrastrutture per essere abitate».
E non sono pochi anche quelli che vanno liberamente nei luoghi di sfruttamento delle risorse o nei “mega progetti”, sperando di vedere migliorata la loro vita. Ma poiché lo fanno senza alcuna preparazione preliminare, queste aspettative finiscono spesso per essere una bolla di sapone. Perdono letteralmente tutto.
Il Mozambico è un paese indipendente e sovrano. Liberi e indipendenti devono essere i suoi cittadini. Ma la disoccupazione minaccia questi valori perché chi non ha un lavoro perde la sua libertà e la possibilità di scegliere i mezzi adeguati per costruire la propria felicità e quella della propria famiglia.
Inoltre, la scoperta di grandi quantità di risorse naturali, invece di aumentare la nostra libertà e prosperità, riduce questa possibilità. Assistiamo continuamente a situazioni in cui code di camion carichi di legname sfilano dai nostri villaggi verso i principali porti nazionali, mentre la gente di quegli stessi villaggi non ha nemmeno i banchi per le proprie scuole e non beneficia affatto della vendita del proprio legname. Conoscono solo il danno che lo sperpero delle risorse naturali fa al loro ambiente.