Il VI vertice Unione europea-Unione africana si terrà a Bruxelles il 17 e 18 febbraio 2022. Sia durante il G20 romano che in altre recenti occasioni, si sono tenute riunioni preparatorie tra africani ed europei in vista del vertice che – ed è cosa significativa – cadrà sotto la presidenza di turno francese.
Ufficialmente il programma verterà sulle seguenti tematiche: investire sulle persone (educazione, scienza, tecnologia e sviluppo delle competenze); rafforzamento della resilienza (pace, sicurezza e governance); migrazioni e mobilità; nuovi investimenti per la trasformazione strutturale e sostenibile dell’Africa. È ovvio tuttavia che, a parte le migrazioni, già protagoniste di vertici precedenti, i temi davvero scottanti tra Europa e Africa sono altri.
Nel continente africano è in corso una forte lotta tra influenze diverse in cui l’Europa appare perdente. Non tutto, però, è così lineare come sembra a prima vista. Cina e Turchia hanno appena svolto i loro vertici africani con alcune novità sorprendenti che non sono sfuggite agli osservatori più attenti. Il summit turco è stato segnato dalla caduta della lira che diminuisce l’impatto di Ankara, già esposta su altri fronti. Allo stesso tempo l’ultimo vertice Cina-Africa ha segnato una decelerazione cinese. Il pacchetto da 40 miliardi di dollari che Xi Jinping ha annunciato (in video) durante l’incontro di Dakar, è di un terzo inferiore a quelli lanciati nei due precedenti vertici, in cui era stato promesso di raggiungere i 100 miliardi.
I raffreddamenti cinesi
La Cina sta raffreddando la sua esposizione sia a causa delle critiche per aver ricreato la crisi del debito estero, sia perché non ha ottenuto il ritorno in investimento che si aspettava. Il calo degli impegni finanziari è un barometro delle intenzioni (o delle possibilità) di Pechino in questi tempi di pandemia. Secondo la Johns Hopkins University, gli impegni di prestito cinesi in Africa hanno raggiunto il picco di 29,5 miliardi di dollari nel 2016, iniziando a scendere a poco più di 22 miliardi già nel 2019, prima dell’inizio della pandemia. Anche le promesse di Pechino sulla distribuzione gratuita dei vaccini sono rimaste in sospeso, sebbene sempre maggiori di quelle occidentali. Ciò che preoccupa maggiormente gli africani è piuttosto la carenza di copertura e di durata dei vaccini cinesi (Sinovac e Sinopharm) rispetto agli altri. Sulla questione del debito estero è noto che molti paesi africani rischiano il default (qualcuno ha già dichiarato quello tecnico).
Il vero problema è che per ciò che concerne il Club di Parigi, è pubblica la lista dei creditori e di quanto debito esprimano (ormai meno del 20% del totale), mentre i debiti contratti con la Cina (e/o con il settore privato) sono occultati: non se ne conoscono né l’ammontare né le scadenze. Ciò che l’Europa rimprovera a Pechino (in specie per l’Africa, ma non solo) è di usare tali debiti coperti come leva politica. Su tali questioni gli europei vorrebbero avere un franco scambio di vedute con i leader africani, ma sarà molto difficile che questi ultimi ammettano cifre e condizioni di debiti che hanno contratto all’oscuro delle loro stesse opinioni pubbliche. Si pensa che la maggior parte dei denari così raccolti siano stati spesi in materiale bellico o in spese di prestigio se non direttamente incamerati nei conti privati dei leader.
Democrazia? Sì, no, ni
Connesso a ciò esiste un secondo tema polemico tra Europa e Africa: quello che riguarda la governance e la democrazia. Già nei precedenti vertici il dibattito su tali questioni non si era rivelato semplice. Ogni qualvolta gli europei avanzavano i punti della lotta alla corruzione e del rispetto dei diritti umani, i leader africani si inalberavano, contestando tali condizionalità come ripetizione delle dipendenze post-coloniali. Più prende piede la presenza cinese (ma anche russa, turca, indiana, coreana, ecc.) sul continente e meno gli europei vengono ascoltati: i nuovi interlocutori sono meno esigenti.
L’argomento della democrazia è una sfida molto difficile per l’Europa: dimostrare all’Africa che si tratta di un sistema più conveniente e più efficace. In questi ultimi anni tutto congiura per il contrario: l’espansione economica asiatica; il nuovo modello autoritario di successo; la fragilità delle istituzioni; i conflitti. Uno dei temi sul tavolo del vertice sarà anche quale atteggiamento avere davanti ai golpe che sembrano tornati a essere uno specifico africano: in un anno due putsch in Mali, uno in Guinea e uno “bianco” in Ciad (perché avvallato de facto dalla Francia). La stessa comunità regionale dell’Africa occidentale (Cedeao) non è riuscita a risolvere tali crisi, né a farsi ascoltare dalle giunte militari per ciò che concerne la durata della transizione. C’è da scommettere che la discussione su tale congiuntura sarà scottante: da una parte gli europei non possono cedere sul principio della democrazia; dall’altra i leader di molti paesi africani sono attanagliati dalla paura che non accada anche da loro.
Il ruolo di Parigi
Qui si inserisce il ruolo della Francia che come presidente di turno avrà un ruolo preponderante durante il vertice. La politica africana di Parigi è forse l’unica vera politica africana in Europa. Tuttavia, si scontra con una sempre più vasta riprovazione da parte del pubblico africano – specie negli ex paesi colonizzati – che (a torto o a ragione) accusa l’Eliseo di molteplici mali, che vanno dallo sfruttamento economico al sospetto di sostenere i terroristi saheliani (una vecchia controversia derivata dall’antica idea del Sahara francese). In mancanza di un’autonoma elaborazione europea, il presidente Emmanuel Macron sta cercando di “europeizzare” la politica africana della Francia. Ciò implica il coinvolgimento degli altri stati membri nelle operazioni (in Mali partecipano anche militari tedeschi e italiani) e si spera presto anche nell’elaborazione complessiva delle strategie. Non è detto che ciò piaccia ai leader africani che preferirebbero avere nuovi interlocutori con cui trattare bilateralmente.
Nel tempo l’Africa ha imparato a diversificare i propri partner, mettendoli anche in competizione gli uni con gli altri. Su tale versante un punto dolente è la questione della Russia e dell’agenzia di sicurezza privata Wagner, già presente in Repubblica Centrafricana e altrove. La polemica è esplosa recentemente tra Parigi e Bamako (Mali) che avrebbe preso contatto con i russi. Da una parte la Francia sta usando ogni strumento possibile per evitare tale accordo; dall’altra i russi si chiedono perché i loro contractor sarebbero meno legittimi di altri, già ampiamente impiegati nel continente. Tale vicenda sta avvelenando gli animi e se ne discuterà certamente a Dakar, magari nei corridoi.
Infine temi di grande importanza geopolitica saranno la guerra in Etiopia e la lotta antiterrorista. Su quest’ultimo caso, oltre ogni retorica, si sta svolgendo un braccio di ferro dal momento che vari governi del continente avrebbero l’intenzione di provare a negoziare con il jihadismo. Non solo gli europei ritengono tale scelta un errore capitale, ma anche tra leader africani c’è divisione. Un’analisi ravvicinata del fenomeno in Africa rivelerebbe un processo in corso di “islamizzazione della rivolta” con radici economico-sociali, piuttosto che di rivoluzione islamica su base ideologico-religiosa. Per ora le posizioni restano distanti: in Mali la giunta sarebbe favorevole a trattare, mentre in Mozambico la scelta è per la soluzione militare. Infine, la guerra etiopica appare come un rompicapo per tutti: nessuno è stato finora in grado di influire sulle parti combattenti perché s’inizi a dialogare.
(Articolo pubblicato nel numero di febbraio di Nigrizia)