Per alcuni è un gioco sul computer. Per altri è la vita. Per i primi è sufficiente scollegarsi e finisce lì: l’esperienza, per quanto toccante, è virtuale. Per i secondi non c’è pulsante che metta fine alla “partita”, si vince (se si vince) quando si arriva alla mèta. Ma questo accade, nella realtà, come nella finzione virtuale, dopo tante ripartenze, non a caso il nome dato ai tentativi per passare le frontiere è “the game”. Una sorta di crudele gioco dell’oca in cui le pedine sono le persone migranti, che continuano a essere respinte, costrette a tornare al punto di partenza e a ripetere i tentativi per un numero imprecisato di volte.
Tentativi che ora sono diventati gli step di un videogioco gratuito, ideato da Roberto Gilli, game designer triestino, esperto di e-learning, che grazie alla collaborazione con Ics (Consorzio italiano di solidarietà), ha pensato di rendere virtuale un’esperienza reale, per creare prossimità, almeno emotiva, nei confronti di chi cerca di arrivare in Italia e rimane incastrato tra i confini. Mettersi nei panni dell’altro, per capire che effetto fa viverne la frustrazione, la violenza gratuita.
Il videogioco The game. La Rotta balcanica ha come protagonista Arul, un ragazzo afghano di vent’anni, nato a Kunduz e scappato dai talebani. Dopo due anni di viaggio, in cui ha attraversato Iran, Turchia, Bulgaria e Serbia, Arul si trova fermo a Bihać, in Bosnia Erzegovina. Gli mancano 240 chilometri per arrivare a Trieste, una distanza venti volte inferiore a quella che ha già percorso, ma questo tratto di rotta balcanica, l’ultimo per raggiungere l’Italia e chiedere finalmente asilo, è faticoso come mai avrebbe immaginato.
Lo scopriranno anche coloro che giocheranno ad attraversare le frontiere. Non prima di essere stati avvisati da una schermata che li allerta di trovarsi davanti a un virtuale graphic game che si basa su storie reali e che per questo presenterà le crudeltà dei viaggi migratori. Pestaggi, incontri, droni che ti intercettano, respingimenti tra polizie slovene e croate, violenze gratuite, denudamenti, ricatti, la spasmodica ricerca di trovare i soldi per poter pagare i trafficanti e continuare il viaggio. Fino ad arrivare a uno degli otto possibili finali che Gilli ha previsto.
Nei panni migranti
The game, quel gioco reale che diventa virtuale, vuole essere non intrattenimento, ma denuncia sociale. Per questo si può giocare in solitaria, nella versione da un’ora e mezza; ma si può pensare come gioco collettivo, magari da fare in classe, nella versione breve di 45 minuti, in modo da farne diventare lezione, dibattito, esercizio di empatia. Merce sempre più rara e quindi preziosa.
Le giocatrici e i giocatori che si troveranno a voler passare la frontiera di quest’ultimo tratto di rotta balcanica, in media vedranno fallire almeno 15 tentativi prima di riuscire a mettere piede in Italia, quel paese che è il loro. Vivranno la sensazione dell’esclusione, della vergogna, dell’impossibilità, ma anche della determinazione, della solidarietà che caratterizza tanti viaggi verso l’Europa, la condivisione di un sogno di un futuro diverso per il quale si è disposti a continuare a rischiare e anche a morire.
Come è capitato nel dicembre scorso, alla bambina annegata nel fiume Dragogna, al confine tra Slovenia e Croazia, mentre con la madre e i fratellini cercava di attraversare il corso d’acqua. È a lei che Roberto Gilli ha dedicato il videogioco, a lei e a tutte le persone che rimangono senza nome alla fine di un game over che non prevede nuove schermate di gioco e possibilità di arrivo.