Quindici stanze, quindici mondi diversi. In un ex motel di periferia di una qualche città del norditalia vivono dei ragazzi richiedenti asilo in attesa che venga deciso il loro futuro. Sospesi in questo centro dove trascorrono diversi anni, tentano di costruire una dimensione quotidiana in cui poter esprimere la propria individualità.
Paolo Boccagni, professore di sociologia presso l’Università degli Studi di Trento, passa quattro anni insieme a loro. Entra nelle loro stanze, chiacchiera, ascolta, raccoglie i piccoli tasselli che compongono il loro essere umani. Dai tre cappelli sempre appesi alle pareti di Halebugor alle tapparelle sempre abbassate di Fatou. Con loro mangia, gioca, ascolta musica, guarda partite di calcio.
Boccagni ricostruisce la loro individualità alternando il racconto di questi incontri – un capitolo corrisponde a una stanza, quindi una persona – a una descrizione sensoriale. Cosa suscita alla vista, all’udito, al tatto, etc. la permanenza nel centro. Ne emerge un libro intriso di umanità, a tratti commovente, nonostante la vocazione saggistica. È un cammino in punta di piedi sui passi di queste vite che, nonostante lo stato di immobilità burocratica, continuano a manifestarsi nel loro semplice diritto di esistere.
Non è un trattato sulle migrazioni, né sui processi di “integrazione”. Dietro al lavoro etnografico c’è uno sguardo amico ed empatico di fronte agli effetti di questa staticità, una dimensione spazio-temporale che si definisce per sottrazione.