Lo Zimbabwe è a un passo dall’abolire la pena di morte per tutti i tipi di reati. E dal diventare quindi il 26esimo paese africano a rimuovere la pena capitale dal proprio ordinamento, l’undicesimo negli ultimi sette anni. Quasi metà dei paesi del continente ha quindi smesso di impiegare questa pratica mentre almeno altri 15 non eseguono una condanna da almeno 10 anni.
Il disegno di legge che sancisce l’abolizione della pena capitale è stato introdotto su iniziativa parlamentare a novembre. Dopo essere stata discusso in Assemblea nazionale ed essere passata per delle consultazioni con la società civile, la bozza ha ricevuto in settimana il sostegno dal governo. La misura dovrò ora tornare in Parlamento per essere approvata in forma definitiva.
La sua conversione in legge è da darsi praticamente per certa, tenendo in conto che la misura è già stata esaminata dai parlamentari e considerando anche la maggioranza assoluta in Parlamento del partito di governo, l’Unione Nazionale Africana di Zimbabwe – Fronte Patriottico (ZANU -PF). Questa formazione guida ininterrottamente il paese dal 1980 e si è garantita una rappresentanza di due terzi dell’Assemblea nazionale la settimana scorsa, grazie a una serie di controverse elezioni suppletive duramente contestate dalle opposizioni.
La Costituzione del 2013
Prima della Costituzione del 2013 la legge dello Zimbabwe prevedeva la pena di morte obbligatoria per alcuni reati. L’attuale ordinamento permette che un cittadino venga condannato a morte – ma non obbliga a farlo – solo nei casi di omicidio e solo in presenza di alcune aggravanti, fra le quali lo stupro e la tortura. La pena capitale non può essere imposta contro le donne e contro gli uomini di età inferiore ai 21 anni e superiore ai 70. L’ultima sentenza è stata eseguita dal 2005 ma nuove condanne sono state spiccate nel 2017 (11) e nel 2018 (5). In tutto, sono almeno 81 i condannati a morte attualmente nelle carceri dello Zimbabwe, stando ai dati della World Coalition Against Death Penalty.
Nel paese la pena di morte è considerata un lascito della dominazione coloniale britannica, che durò quasi un secolo e che si concluse con l’indipendenza nel 1980. Secondo quanto riporta il portale giuridico locale Veritas Zimbabwe, prima dell’arrivo dei britannici gli shona, ovvero la comunità più numerosa dell’attuale Zimbabwe, non applicavano punizioni che prevedevano l’uccisione dell’accusato in quanto in contraddizione con alcuni aspetti del loro culto dei morti.
La nuova legge modifica tutte le normative che permettono la pena capitale e prevede la sua sostituzione con il carcere a vita. Questo cambio nella pena non sarebbe automatico però. Stando ai contenuti del provvedimento, l’Alta Corte di Harare si pronuncerà nuovamente su ognuno dei casi dei detenuti condannati a morte, emettendo una nuova sentenza anche a partire da una analisi delle condizioni dell’imputato.
A oggi, secondo un approfondimento sempre di Veritas Zimbabwe, i condannati a morte sono tenuti in isolamento in specifici “braccia della morte”, hanno un accesso limitato ad attività ricreative come la lettura e non hanno informazioni rispetto a quando verrà eseguita la sentenza ai loro danni.
Il problema carceri
Utile specificare che nelle prigioni dello Zimbabwe si trovano circa 21mila detenuti, nonostante la capacità di tutto il sistema carcerario sia di soli 17mila, con un tasso di sovraffollamento del 131% secondo il World Prison Brief, un database del Birkbeck College dell’Università di Londra. In particolare le condizioni di alcuni istituti sono state descritte come disumane da diverse realtà della società civile locale e dalla stampa. Su tutti il carcere di massima sicurezza di Chikurubi, nella capitale Harare, dove fino a pochi giorni fa si trovava anche il noto oppositore politico Job Sikhala, rilasciato dopo quasi due anni la settimana scorsa.
Quello delle carceri non è l’unico problema del governo guidato dal presidente Emmerson Mnangagwa, accusato dentro e fuori i confini nazionali di reprimere il dissenso e di guidare il paese in modo dispotico. Nonostante questo, i passi decisivi verso l’abolizione della pena di morte sono stati accolti con soddisfazione da diverse ong internazionali in genere critiche contro Harare, come Amnesty international.
La stampa internazionale ha fatto notare come lo stesso Mnangagwa, pure condannato a morte per la sua attività politica durante il regime di Ian Smith, terminato nel 1979, sia un fermo sostenitore dell’abolizione della pena capitale.
La decisione di Harare è poi in linea con i miglioramenti che si registrano in Africa. Al momento 30 paesi su 55 conducono ancora esecuzioni, quasi la metà però non ne compiono una da almeno dieci anni. Secondo il Death Policy Information Center, dieci dei 15 paesi che hanno abolito la pena di morte per tutti i crimini dal 2015 a oggi si trovano in Africa: Repubblica del Congo, Madagascar, Benin, Guinea, Burkina Faso, Ciad, Sierra Leone, Zambia, Guinea equatoriale e Repubblica Centrafricana. A questi vanno aggiunti il Kenya e, l’anno scorso, il Ghana, che l’hanno abolita per alcuni crimini.