A un mese dalle elezioni presidenziali e legislative del 23 agosto, il presidente dello Zimbabwe, Emmerson Mnangagwa, ha consegnato 11 auto di lusso e denaro a 18 ex veterani della guerra di liberazione, tra cui l’ex vicepresidente Phelekezela Mphoko e il comandante delle forze di difesa (ZDF), generale Phillip Valerio Sibanda.
A darne notizia con patriottica enfasi attraverso una serie di twitt, è lo Zanu PF Patriots, una piattaforma di social media del partito che governa incontrastato il paese dell’Africa australe dall’indipendenza, nel 1980.
Vi si legge che “I veterani delle due ex ali militari del partito (ZIPRA e ZANLA) sono stati dotati di veicoli Ford Ranger Wildtrak di alta gamma (valore totale oltre 825mila dollari, ndr) e denaro, come parte dei vantaggi continui destinati ad apprezzare i loro sacrifici”.
La piattaforma spiega che il presidente – in cerca del secondo mandato – intende così “onorare i luminari della lotta di liberazione… continuando a riconoscere gli sforzi e i sacrifici degli ex combattenti per la libertà”.
La tempistica lascia però supporre che i lussuosi benefit siano stati elargiti per garantire a Mnangagwa il sostegno elettorale di membri autorevoli e ancora potenti del partito e dei loro sostenitori.
La mossa è solo l’ultima di una lunga serie di manovre volte a garantire la rielezione del presidente e la riconferma della maggioranza parlamentare al suo partito.
Tra queste ricordiamo la manomissione del rapporto della Commissione elettorale sulla delimitazione delle circoscrizioni, le «gravi anomalie» nella registrazione degli elettori, denunciate dall’opposizione, i pesanti brogli nelle votazioni interne al partito per eleggere i candidati al parlamento.
E, ancora, l’esorbitante tassa imposta per potersi candidare a presidenza (20mila dollari) e parlamento (1000 dollari), la permanente esclusione della diaspora dal voto e la stretta contro le attività delle organizzazioni non governative.
Inoltre, dall’inizio dell’anno si è registrato un aumento della repressione di polizia e degli attacchi nei confronti di attivisti e oppositori, in particolare del partito del principale sfidante di Mangagwa, il leader della Coalizione dei cittadini per il cambiamento (CCC) Nelson Chamisa.
Una repressione che oltre ad arresti e detenzioni arbitrare, divenute ormai all’ordine del giorno per gli oppositori, si è anche concentrata nelle ultime settimane nell’impedire al CCC di svolgere regolarmente la sua campagna elettorale.
Un quadro di oppressione che si è completato di recente con l’approvazione della cosiddetta “legge patriottica” che prevede la pena di morte per chiunque sia ritenuto colpevole di “danneggiare intenzionalmente la sovranità e l’interesse nazionale dello Zimbabwe”.
Superfluo, in questo contesto, far notare che per volere del presidente alle elezioni sono ammessi solo osservatori elettorali «amici». E che, per dissipare eventuali dubbi, Mnangagwa nei giorni scorsi ha invitato caldamente gli stranieri accreditati ad «attenersi al loro mandato».
Al voto di agosto e alla drammatica situazione economica, sociale e democratica del paese, Nigrizia ha dedicato il dossier di luglio.