Alle elezioni presidenziali e legislative che si terranno a fine agosto in Zimbabwe potranno assistere solo osservatori internazionali considerati «amici» dal governo del presidente Emmerson Mnangagwa che si presenterà per un secondo mandato.
«Non siamo un paese subalterno. Non ci lasceremo umiliare da organizzazioni non governative o da istituzioni occidentali», ha detto il presidente. Dimenticando che le precedenti elezioni, cinque anni fa, erano state seguite dagli osservatori internazionali e non c’era stata nessuna restrizione.
Alcune organizzazioni della società civile hanno reagito e hanno fatto notare che a fissare le regole elettorali non è il presidente – espressione dell’Unione nazionale africana Zimbabwe-Fronte patriottico (Zanu-Pf), il partito che governa il paese dall’indipendenza dal Regno Unito (1980) – ma la commissione elettorale.
L’uscita di Mnangagwa fa temere che si arriverà al voto in un clima di tensione e con il sospetto, da parte delle opposizioni e di ampi settori dell’opinione pubblica, che lo scrutinio non sarà né libero né credibile.
Amnesty International rileva che quasi tutte le manifestazioni elettorali dell’opposizione sono state vietate e che militanti e dirigenti sono sistematicamente vessati e arrestati. Il deputato Job Sikhala della Coalizione di cittadini per il cambiamento è detenuto da oltre nove mesi in un carcere di massima sicurezza, in attesa di processo. È accusato di turbativa dell’ordine pubblico per aver chiesto giustizia sull’uccisione di un militante del suo partito.