Il tentativo è il solito: mettere la museruola alle opposizioni dello Zimbabwe a due mesi dal voto. Che cosa è successo: i parlamentari (a maggioranza Zanu-Pf, partito al potere) hanno stabilito che i candidati alla presidenza dovranno pagare una tassa di 20mila dollari, mentre è stata fissata in mille dollari la quota per chi punta a un seggio in parlamento.
Un dato eccezionale perché c’è stato un aumento di 20 volte rispetto alle tasse pagate dai candidati parlamentari (50 dollari) nelle precedenti elezioni del 2018.
Secondo il partito di opposizione, Coalizione dei cittadini per il cambiamento (CCC), tale misura mina il diritto a candidarsi e favorisce il partito al governo che si ritiene abbia maggiori risorse finanziarie. La CCC ha annunciato battaglia nel tentativo di abbassarle in tempo per la scadenza della registrazione il 21 giugno.
Lo Zimbabwe aveva già adottato il 1° giugno una cosiddetta legge “patriottica” che criminalizza ogni «attacco alla sovranità e all’interesse nazionale». Un testo considerato «terribile» da opposizioni e ong perché ha contorni vaghi e si temono eccessi liberticidi prima delle elezioni generali.
Il paese dell’Africa australe, colpito da una grave crisi economica, terrà le sue elezioni presidenziali e parlamentari il prossimo 23 agosto. Il presidente Emmerson Mnangagwa, eletto nel 2018 dopo il colpo di stato che l’anno precedente aveva deposto Robert Mugabe, correrà per un secondo mandato.
Il principale rivale dell’80enne è il 45enne Nelson Chamisa, avvocato e pastore religioso che guida il nuovo partito CCC.