Le voci del popolo dello Zimbabwe sono ignorate e represse, tutti i progressi raggiunti negli ultimi anni in materia di pace e riconciliazione «sono andati perduti». Questo il cuore di un duro monito che la Conferenza dei vescovi cattolici del paese africano ha lanciato in settimana con una lettera pastorale, mentre le opposizioni e altre anime della società civile lamentano l’aumentare di violenza politica e abusi da parte del governo.
Lo scenario è segnato dall’onda lunga delle contestate elezioni generali di fine agosto. Il voto ha portato alla riconferma per un secondo mandato del presidente Emmerson Mnangagwa e così all’ennesima riconferma del suo partito, l’Unione nazionale africana dello Zimbabwe – Fronte patriottico (ZANU-PF) che guida il paese da 43 anni.
La principale formazione di opposizione, la Coalizione dei cittadini per il cambiamento (CCC), così come la società civile e parte della comunità internazionale, hanno accusato il governo di brogli e irregolarità e non hanno riconosciuto l’esito del voto. Anche la Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (SADC), generalmente cauta nel prendere posizioni scomode rispetto ai suoi stati membri, ha dichiarato in un rapporto che il voto di agosto «non raggiunge» standard accettabili secondo le norme regionali ma anche secondo la stessa Costituzione dello Zimbabwe.
Nelle ultime settimane decine di deputati, senatori e consiglieri locali della CCC sono stati rimossi dall’incarico sulla base di una richiesta partita da un sedicente segretario generale ad interim del partito non riconosciuto, Sengezo Tshabangu. La CCC ha denunciato l’uomo presso l’Alta corte di Harare, ottenendo per ora solo una temporanea interdizione dal richiamare altri esponenti della formazione, cosa che in realtà continua ad avvenire. Il tribunale ha rinviato invece il giudizio definitivo sulla faccenda.
L’omicidio di Tapfumaneyi Masaya
Ultimo episodio di repressione in ordine di tempo è stato il rapimento e l’uccisione di un’attivista della CCC. Secondo quanto denunciato dal partito, il pastore Tapfumaneyi Masaya, questo il nome dell’uomo, è stato ucciso dai servizi di sicurezza la settimana scorsa. Lo Human Rights NGO Forum, una coalizione di 22 associazioni, ha denunciato che in circa un mese almeno altri due esponenti delle opposizioni sono stati rapiti, senza essere uccisi. Lo ZANU ha negato qualsiasi coinvolgimento nella morte di Masaya.
Tutti questi temi tornano nella lettera dei vescovi. «Le nostre elezioni hanno lasciato molto a desiderare – scrivono i prelati a proposito del plebiscito-. A caratterizzarle una nuova forma di violenza: il rifiuto di far sentire la voce della nazione attraverso il voto». Secondo i religiosi, nella fase post elettorale «la maggior parte dei traguardi che avevamo raggiunto rispetto la promozione della pace e l’allentamento delle tensioni tra i vari attori politici e i loro sostenitori è andato perduto».
Con la destituzione dei parlamentari della CCC, proseguono i vescovi «la nazione è stata spinta in una nuova forma di violenza: le persone legittimamente elette possono essere richiamate arbitrariamente. Sembrerebbe – si aggiunge – che le voci delle persone che hanno votato possano essere facilmente ignorate, come se fossero insignificanti».
«Recentemente – si legge ancora nella missiva -, una vita è andata perduta a causa della politica. Qual è lo scopo di questa violenza – si chiedono i vescovi -? Si tratta di terrorizzare le persone inducendole a votare per un particolare candidato o a non votare affatto?»
I religiosi esortano quindi i politici dello Zimbabwe a «denunciare la violenza politica» e invitano tutti i cittadini a «lavorare per facilitare la pace».
In Zimbabwe i cattolici rappresentano l’8% della popolazione, mentre il 70% circa è protestante. I vescovi cattolici intervengono con regolarità nella vita politica del paese e hanno criticato più volte l’operato dello ZANU-PF.