Zona di libero scambio: falsa partenza - Nigrizia
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Zecla/AfCFTA, un 2021 da dimenticare
Zona di libero scambio: falsa partenza
Il progetto prevede di decuplicare gli scambi commerciali intra-africani. Ma a 12 mesi dal decollo non si vedono risultati tangibili. Vediamo perché
11 Gennaio 2022
Articolo di Armand Djoualeu
Tempo di lettura 3 minuti
Commercio Africa

La Zona di libero scambio continentale africano (AfCFTA o Zecla) è il più ambizioso progetto di integrazione economica dopo la creazione delle comunità economiche regionali. Ha iniziato il suo percorso il 1° gennaio 2021 ed è uno degli stendardi dell’agenda 2063 dell’Unione africana (Ua).

L’obiettivo è di promuovere il commercio intra-africano dei 54 stati del continente, di ridurre la dipendenza dai mercati esteri, di accrescere la competitività, di aiutare la trasformazione economica e di aprire la strada all’unione doganale africana.

La Zecla ha cominciato ad essere concepita all’interno dell’Ua, muovendo dalla costatazione della debolezza delle relazioni commerciali tra paesi africani: il 16% contro circa il 70% con l’Europa e l’Asia. L’accordo sulla Zecla è entrato in vigore il 30 maggio 2019, dopo la ratifica da parte di 22 paesi (numero minimo stabilito) e l’inizio, almeno sulla carta, della libera circolazione di beni, che oggi coinvolge 38 paesi (tra cui Nigeria e Sudafrica, le due maggiori economie del continente), che ha preso il via un anno fa.

Dopo 12 mesi dall’annuncio dato in pompa magna dai gruppi dirigenti africani si registrano forti ritardi. Possiamo definirlo un avvio con il freno a mano tirato: le ragioni sono di ordine politico, giuridico, infrastrutturale, finanziario e securitario.

Secondo Jakkie Cilliers, dell’Istituto di studi sulla sicurezza di Pretoria, la data del 1° gennaio 2021 «va considerata per quello che è, e cioè una data puramente simbolica». Mentre ci vorrà ancora parecchio tempo per vedere dei risultati perché «le trattative sugli aspetti commerciali sono estremamente complesse e inoltre le comunità economiche regionali (ad esempio, la Comunità economica dell’Africa occidentale – Cedeao o la Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale – Sadc) non hanno ancora raggiunto un livello soddisfacente di integrazione».

Ciò impedisce la piena operatività della Zecla. Il rischio è che, della fin qui timida apertura del mercato africano, non tragga vantaggio l’Africa stessa ma piuttosto i grandi paesi esportatori di beni e servizi.

Cambio di passo nel 2022

C’è un altro aspetto da considerare. Per la maggior parte degli stati africani abbassare le barriere doganali significa rinunciare a una notevole fonte di entrate. I bilanci di molti stati dipendono infatti, oltre che dalle esportazioni di materie prime, dalle entrate doganali.

Il sudafricano Wamkele Keabetswe Mene, segretario generale della Zecla, ritiene che gli scambi commerciali nel quadro Zecla diventeranno effettivi nel corso del 2022. Ma non indica una data precisa. E spiega che «il progetto è particolarmente ambizioso e ha bisogno di altro tempo».

Ambizioso lo è di sicuro. Basti pensare che la Zecla afferma di voler portare, entro il 2034, gli scambi commerciali intra-africani dal 16% attuale al 60%. Stime della Banca mondiale dicono che se questo accadesse 70 milioni di africani uscirebbero da una condizione di povertà e 30 milioni dalla povertà estrema. Oggi gli abitanti del continente sono 1,2 miliardi e le proiezioni demografiche prevedono che si arrivi a 2,5 miliardi nel 2050.

 

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